ANDREA SPINELLI
Magazine

Rolling Stones, l’album ‘Hackney diamonds’ è degno della loro epopea

Il disco di cover e brani originali che celebra la loro gioventù straviziata e stravissuta. Una raccolta di canzoni che dimostra come siano ancora in grado di macinare riff spaccaossa

I Rolling Stones: Mick Jagger, Keith Richards e Ronnie Wood
I Rolling Stones: Mick Jagger, Keith Richards e Ronnie Wood

Almeno l’illusione di sentirsi giovani, sì. Quella ai Rolling Stones bisogna proprio lasciarla. Soprattutto davanti a un album come Hackney diamonds in cui i Glimmer Twins fanno spallucce davanti all’impietoso confronto col passato dimenandosi e macinando riff spaccaossa come certi ragazzetti con un quarto dei loro anni. Gente come i Måneskin, ad esempio, che un Jagger col gusto dell’iperbole non esita a definire nelle interviste la più grande rockband del mondo.

D’altronde, almeno sotto il profilo anagrafico, Sir Mick rimane il grande impostore del “rock’n’roll circus”, quello che nel secret-show newyorkese dell’altra sera al Racket Club sulla 16ª Strada ha festeggiato la pubblicazione del nuovo album davanti a 600 invitati, fra cui Elvis Costello con la moglie Diana Krall, Rachel Weisz, Chris Rock e Daniel Craig, versando anche l’ultima stilla di sudore sui momenti migliori di questo 24° capitolo della sua linguacciuta discografia col graffio di Angry, Whole wide world, Bite my head off e una Sweet sounds of heaven a tu per tu, come su disco, con le tinte gospel di Lady Gaga. Ma il novero dei famosi imbarcati dal trentaduenne produttore Andrew Watt in questo album-kolossal comprende pure Stevie Wonder, Paul McCartney, Elton John, Bill Wyman e in due tracce pure lo scomparso Charlie Watts.

E il risultato, una volta tanto, è pari alla somma degli addendi riportando la mente indietro ai tempi di Emotional rescue e Tattoo you. Dietro il titolo bruttino e la copertina orribile, si cela un album superlativo, destinato a chiudere in gloria un’epopea come quella di Street Fighting Man, Paint It Black e Jumpin’ Jack Flash. O forse no, a dar retta a Sir Mick quando dice di avere da parte ancora undici canzoni che lascerebbero intendere l’arrivo almeno un altro disco.

Gli Stones, che grazie allo sponsor nel prossimo derby Barcellona-Real piazzeranno il loro marchio sulle maglie blaugrana, dicono che a scoperchiare il vaso è stato il tour Sixty, approdato l’anno scorso pure tra gli spalti di San Siro; finiti gli impegni live si sarebbero rinchiusi negli Henson Studios di Los Angeles tirando fuori una canzone dopo l’altra. "A un certo punto abbiamo avuto coscienza che tutto stava accadendo in maniera molto veloce, consentendoci di scrivere due brani al giorno, se non addirittura tre".

I diamanti a cui fa riferimento il titolo sono le schegge dei vetri infranti nella loro gioventù straviziata e stravissuta, rotolate fino a noi come le canzoni di questo album, chiuso non troppo casualmente da una versione voce e chitarra della Rollin’ Stone Blues di Muddy Waters da cui lo scomparso Brian Jones trasse il nome divenuto un marchio che sembra rubata alle session della raccolta di cover Blue & lonesome. "Sono troppo giovane per morire, ma troppo vecchio per perdere", canta Jagger nel refrain di una ballata scavata nell’anima come Depending on you. Verrebbe da credergli.

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