Gli abissi di Ferro: "Io, l’alcol e la sessualità"

Le confessioni del cantautore e il docufilm. "Il rapporto con la bottiglia, la paura di dichiararmi gay. E più sprofondi, più sei solo"

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Roma, 4 novembre 2020 - Ogni uomo è un abisso e dà le vertigini a guardarci dentro, ma alcune profondità sono più oscure di altre. Quelle raccontate dal documentario Ferro, ad esempio, il film Amazon Original da venerdì su Prime Video, con toni duri, scomodi, diretti. Dovendo raccontarsi davanti alla macchina da presa, infatti, Tiziano lo fa per davvero, puntando il dito su ciò di cui è stato vittima e che l’ha fatto soffrire: i disordini alimentari (da ragazzo era arrivato a pesare 111 chili), il bullismo, la depressione, l’omofobia, l’alcolismo. Spesso le star mostrano le cicatrici per disperazione o narcisismo, ma lui no, lui lo fa per raccontarsi come un idolo delle masse in cerca di redenzione.

Tiziano, l’inizio del film la vede passare da una chiesa a una seduta per alcolisti. Che rapporto ha con Dio?

"Lo prego ogni giorno, chiedendogli il coraggio e la serenità necessari per diventare una persona migliore. Adesso vivo a Los Angeles, dove nessuno mi riconosce come un “divo”. Ma sono cresciuto a Latina ascoltando don Matteo, il parroco della mia diocesi, parlare di empatia, unione, inclusione, amore universale e certi valori mi sono rimasti dentro".

Da due anni è unito civilmente al consulente americano Victor Allen.

"Ho passato una giornata a piangere quando Papa Francesco si è espresso sulle unioni perché ho letto nelle sue parole quel senso vero e profondo che trovavo da ragazzo in quelle di don Matteo. A me il coming out ha salvato la vita, perché mi ha fatto capire che doveva esistere una sola versione di me, in cui mi riconoscessi".

Vittima dell’omofobia. E in caduta libera nell’alcolismo.

"La cosa difficile è ammettere che hai un problema, e non parlo solo dell’alcolismo. Il difficile è quando sei da solo con i mostri. La conseguenza più grande della dipendenza è l’isolamento, la dipendenza vuole che tu stia solo. Ho vissuto una vita in completa negazione, in una società che non accettava chi ero e io non accettavo me stesso. In realtà l’onestà e la sincerità mi hanno avvicinato di più alle persone. Se tu non ami te stesso non puoi proiettare felicità. La verità mi ha reso libero ed è tutto quello che volevo".

Nel film dice di voler andare a Sanremo per fare "l’esperienza più bella della mia vita". Nel febbraio scorso è stato così?

"Sanremo non potevo non farlo. Era un tributo ai miei sogni. Ho detto sì subito, senza puntare alla perfezione, ma all’esperienza. Il Festival mi ha consumato emotivamente e fisicamente, però è stato utile. A 40 anni ho bisogno di stimoli, di camminare un po’ sul ciglio del burrone, e Sanremo – che non vive di sola patina ma anche di fratture – in tal senso è servito. Forse di persona non ci tornerei, ma come autore sì".

Venerdì esce il cd Accetto miracoli: l’esperienza degli altri.

"Il disco non era previsto. In lockdown ho pensato che la creatività fosse l’unica salvezza, così ho pensato di realizzare delle cover; un progetto senza senso per tutti tranne che per me in cui passo da De Gregori a Califano, da Giuni Russo a Scialpi. Ne ho messe 13. L’ho fatto per divertimento, per conforto".

"Non importa come cadi. Importa solo come ti rialzi" dice nel finale del film. Come ci si rialza dal pesantissimo giudizio morale della Cassazione sulla scelta di trasferire la residenza in Inghilterra per evitare il fisco italiano?

"Quella pronuncia mi ha molto ferito. Anche perché io in Inghilterra ci ho vissuto per davvero. Mi sono trasferito lì perché volevo autodistruggermi ed è quello che ho fatto per cinque anni, arrivando al limite della cirrosi epatica. In quelle condizioni, a 34 anni, non avevo modo e tempo di pianificare un’evasione fiscale. Sono felice che la mia vicenda giudiziaria si sia conclusa, ma ho passato 11 anni a difendermi e a spiegare".

Alla fine, però, è arrivata una condanna.

"Mi spiace che un giudice tributario chiamato a giudicare dei conti si sia voluto esprimere sulla mia condotta morale quando sul piano penale ero stato assolto perché il fatto non sussiste. Mi è stato riconosciuto che non ho commesso un reato e che non sono un evasore. Essendomi, però, sempre battuto per i diritti, e di conseguenza per i doveri, accetto la sentenza tributaria anche se la ritengo ingiusta".

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