Giuseppina schiavista? Picconate alla memoria

La prima moglie di Napoleone paga (anche) due secoli dopo le ingiuste accuse del marito. La statua della bella creola abbattuta in Martinica.

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Si è salvata dalla ghigliottina, ma non dalle picconate postume dei militanti anti-schiavismo, che pochi giorni fa hanno abbattuto la statua eretta in suo onore a Fort de France, in Martinica. È la triste storia di Joséphine de Beauharnais, la bella creola che fu la prima moglie di Napoleone Bonaparte, per 5 anni imperatrice di Francia e regina d’Italia, ripudiata in seguito per non aver dato un figlio al suo augusto marito e oggi letteralmente buttata giù dal piedistallo.

Capo d’accusa: fece uso del suo charme per convincere Napoleone a ripristinare la schiavitù, nel 1802. Un falso clamoroso, dicono gli storici: "L’Imperatore non era il tipo da prendere simili decisioni su consiglio della moglie: l’amava alla follia, ma non al punto di lasciarsi influenzare. Le decisioni importanti le prese sempre in assoluta solitudine", commenta Patrice Gueniffey, grande esperto dell’epopea napoleonica.

"Josephine non prese posizione, non volle né disapprovare né giustificare il regime della schiavitù. La sua strategia in ogni occasione fu quella di non contestare le scelte del marito", aggiunge Christophe Pincemaille, conservatore del Chateau de la Malmaison, la splendida dimora che l’Imperatrice decorò e arredò a suo gusto.

Da dove esce questa convinzione che Josephine sia stata una schiavista, simbolo dell’aborrito passato coloniale in Martinica?

Da una testimonianza fornita - ahi ahi – dallo stesso Napoleone, che nel Memoriale di Sant’Elena afferma di avere ripristinato il “codice nero” non tanto sotto la pressione dei coloni francesi stabiliti nelle Antille, quanto su “pressante richiesta” di Joséphine de Beauharnais, la quale - lasciò intendere - lo aveva convinto durante una seduta... in camera da letto.

Tutte balle. In realtà l’abolizione della schiavitù nelle colonie d’Oltremare, votata dalla Convenzione nel 1794, non venne mai applicata. I coloni bianchi conservarono i loro feroci privilegi aiutati dalla Francia, che decise una spedizione militare nei Caraibi per spegnere la ribellione degli ufficiali neri.

E il 20 maggio 1802 Napoleone Bonaparte, che vagheggiava la ricostituzione di un impero coloniale nelle Americhe “conformemente alle leggi anteriori al 1789”, emise il famoso decreto che ripristinava la schiavitù.

Una decisione disastrosa che spinse alla rivolta i neri di Santo Domingo e accelerò la perdita dell’isola per la Francia. Fu sicuramente a causa di questo clamoroso insuccesso che Napoleone, desideroso di giustificarsi davanti alla storia, scaricò ogni responsabilità sulla povera Joséphine.

È da tener presente che il Memoriale fu scritto fra il 1815 (inizio dell’esilio a Sant’Elena) e il 1821 (anno della morte dell’Imperatore): Joséphine de Beauharnais, morta nel 1814, non poteva evidentemente smentire...

Detto questo non si può affermare che Marie Josèphe Rose de Tascher de la Pagerie (questo il vero nome di Josephine) fosse una progressista. Nata il 23 giugno 1763, apparteneva ad una famiglia di proprietari di piantagioni di canna da zucchero ed era certamente più sensibile alla causa dei nobili e dei ricchi che non a quella dei poveri e degli emarginati. Alla morte della madre, per esempio, ricevette in eredità 123 schiavi per un valore stimato in 270 mila libbre. Si guardò bene dal liberarli, li tenne anzi al suo servizio fino alla morte.

Maritata a 16 anni al visconte Alexandre de Beauharnais, era finita in prigione durante la Rivoluzione: suo marito fu ghigliottinato nel 1794, lei si salvò invece per decisione di Robespierre. Fu grazie ad uno dei suoi amanti, il deputato Paul Barras, che Joséphine conobbe Bonaparte, giovane generale di 26 anni (lei ne aveva 33 ma ne dichiarava 29).

Fu un colpo di fulmine: Napoleone la sposò 5 mesi dopo il primo incontro e le concesse tutto quello che voleva. Eccentrica, elegante, sensuale, amante del lusso e terribilmente spendacciona, la bella creola salita sul trono di Francia lasciò al momento della morte un passivo colossale che nemmeno la vendita di tutti i suoi beni, compreso il castello della Malmaison, poté colmare.

 

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