Giornata mondiale degli oceani. "Mari malati, agire ora per salvare la Terra"

Sandro Carniel (Cnr): "Per contrastare il riscaldamento climatico servono decenni. Ma i tempi possono essere minori per ridurre la pesca eccessiva e agire contro la dispersione delle plastiche"

L'8 giugno è la giornata mondiale degli oceani

L'8 giugno è la giornata mondiale degli oceani

Roma, 8 giugno 2020 - "Gli oceani sono un ecosistema essenziale per sostenere la vita sul pianeta. E per questo meriterebbero molta più attenzione". Così Sandro Carniel, oceanografo dell’Istituto di Scienze Polari del CNR (Venezia), attualmente Direttore della Divisione di Ricerca del centro NATO Cmre a La Spezia.  Dottor Carniel, Quale è lo stato di salute degli oceani? "Serio, in aggravamento". Quali sono le minacce? "Essenzialmente due. Le prime sono poste dal riscaldamento globale, le seconde legate all’azione diretta dell’uomo con l’introduzione di sostanze nocive o l’eccessivo utilizzo di risorse: e quindi inquinamento, dispersione di plastiche, pesca eccessiva. La prima è una malattia cronica, la seconda acuta. Questo significa che per curare la prima servono molti decenni, almeno 4 o 5, mentra la seconda può essere affrontata in molto meno tempo, volendo. E prima si agisce, meglio è". Quale è l’effetto dei cambiamenti climatici sugli oceani? "Come si scalda l’atmosfera, si scalda il mare. Di circa un decimo di grado a decennio. Come conseguenza, si dilata e si alza di livello con conseguente erosione e allagamento delle coste, ingresso del cuneo salino nei terreni costieri. Scaldandosi, il mare diventa poi meno ospitale per alcune specie. Chi può, si sposta. Chi non può, come i coralli, muore. E poi lo stato superficiale dell'oceano, più caldo, forma una sorta di barriera e riduce il mescolamento delle acque e quindi la presenza di ossigeno in profondità". Un mare più caldo favorisce anche gli eventi estremi. "L’accoppiata mare-atmosfera produce uragani, tifoni e altre tempeste. Oltre la soglia di 28 gradi di temperatura delle acque superficiali, gli eventi estremi di questo tipo sono più intensi. Più un mare è caldo più energia entra in gioco, più gli eventi sono distruttivi".  Gli oceani assorbono C02 dall’atmosfera. Costituiscono un freno ai cambiamenti climatici. "Gli oceani assorbono circa un terzo della Co2 emessa dalle attività umane. E meno male. Ma così cresce l’acidità media: negli ultimi 100 anni è aumentata del 20%. Questo mette in crisi gli organismi che usano il calcio per i loro gusci e i loro scheletri, ad esempio i molluschi e crostacei, che hanno più difficolta a fabbricarla". Qual è l’effetto dei cambiamenti climatici sulle correnti? "Stiamo perdendo ghiacci a livello elevato. Dalla Groenlandia si riversano in mare ogni anno 300 mila tonnelate all’anno di acqua dolce e fredda. Ora, dato che le correnti sono inflenzate da temperatura e salinità, questo nell’Atlantico modifica la Corrente del Golfo, che dai Caraibi raggiunge l’Europa, rallentandola. La riduzione è oggi stimata del 15%: sono 3 milioni di metri cubi in meno, 2 mila volte la portata del Po". C’é poi l’inquinamento diretto Ben esemplificato dal caso della plastica. "La plastica in mare è un esempio palese di come l’uomo abbia agito in modo dissennato, facendo di un materiale potenzialmente fantastico un inquinante. E il vero problema non sono solo le plastiche visibili, ma le microplasticHe, che sono in parte immesse direttamente e in parte sono risultato del degrado dei rifiuti più grandi: sono insidiose perchè entrano nella catena trofica e poi alimentare. La pressione dell’opinione pubblica ha fatto introdurre il bando dei sacchetti di plastica, una limitazione delle microplastiche. Bene, ma bisogna agire nei bacini dei dieci grandi fiumi che la trasportano in mare, 8 dei quali sono in Asia, e va ripensato l’intero processo produttivo, riducendo il packaging. Anche le plastiche biodegradabili sono senz’altro utili ma andrebbe fatto un bilanco enegetico e valutato il loro impatto sulla produzione di cibo, dato che di solito vengono prodotte dal mais".  Quale è situazione degli stock ittici degli oceani? "Il 60% delle zone di pesca sono sfruttate al limite estremo, e di queste il 30% sono sovrapescate. Non basta l’acquacoltura, anche se fa fronte a metà della domanda. E’ essenziale una pesca sostenibile e certificata". 

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