Martedì 16 Aprile 2024

Giorgio Panariello e il fratello fragile. "Franco, cigno nero"

L’attore racconta i suoi sensi di colpa in un libro toccante. "Francesco non è morto di overdose. Anch’io con la droga ho rischiato"

Giorgio Panariello, 60 anni

Giorgio Panariello, 60 anni

"Fratello del più noto..." è una premessa con cui Franco Panariello s’era rassegnato a convivere mentre lui, "il più noto", no. Un malessere latente quello di Giorgio, convinto che, se la vita avesse girato diversamente, Franco sarebbe stato lui. Fu Carlo Conti, in una mattina di dicembre di 9 anni fa, a tirarlo giù dal letto per dirgli che quel fratello-equilibrista sempre in bilico tra inferno e redenzione era caduto dal filo, stroncato sul lungomare di Viareggio da un’ipotermia dopo essere stato abbandonato dagli amici al fondo di una notte ad alto tasso alcolico. Ed è col peso sul cuore di quella telefonata che il comico toscano ha scritto Io sono mio fratello , volume di cui parlerà oggi a cuore aperto durante Domenica In , in diretta su Raiuno.

Giorgio Panariello con Francesco (morto nel dicembre del 2011, a soli 50 anni)
Giorgio Panariello con Francesco (morto nel dicembre del 2011, a soli 50 anni)

Giorgio, lei paragona fra le righe suo fratello a un cigno. Bianco o nero? "Franco era un cigno nero. Di quelli che scorgi subito in mezzo ai cigni bianchi. Come dico nel libro, era una persona che percepivi. Quando da bambino lo incontrai per la prima volta, muovendomi carponi tra le gambe dei grandi durante le feste di Natale, ancor prima di vederlo ne avvertii la presenza. Un cigno, da grande, lo diventò pure in mezzo al campo correndo palla al piede a testa alta come Antognoni. E quella testa, finché ha potuto, non l’ha abbassata".

A un certo punto della vita lei ha scoperto che i suoi fratelli erano in realtà i suoi zii, «e quelli che avevo creduto i miei genitori erano i miei nonni». "… E che il solo, vero, fratello era questo ragazzo che una signora elegante (che poi ho capito essere mia madre) ci portava in casa durante le feste comandate".

In questo complesso rapporto familiare s’è mai perdonato il torto di aver avuto fortuna? "Scrivere di noi è stata per me anche un po’ una terapia. Per anni mi sono sentito fortemente in colpa di essere nato un anno prima di Franco. Date le loro condizioni economiche, infatti, se fosse accaduto il contrario i nonni avrebbero adottato Franco e in istituto ci sarei finito io".

La vita è fatta di porte girevoli. "Vero, ma io mi sono sentito lo stesso in colpa. In colpa aprendo i giornali e trovando articoli entusiastici su di me mentre lui magari in quel momento stava vivendo l’inferno, in colpa al volante di una bella macchina nuova, in colpa davanti ad un piatto di tagliatelle al tartufo. Una volta dopo uno spettacolo a Cinquale, il nostro paese, venne a trovarmi in camerino vestito di povere cose e poggiando lo sguardo notò tutti i miei capi firmati; mi sentii molto molto a disagio". Come ha reagito? "A volte ho dato colpa alla vita, dicendomi che era stata lei a decidere così, facendo cadere la palla del match point dalla sua parte della rete di Franco e non della mia. Altre volte mi sono ricordato pure per me le cose all’inizio non erano state facili e il benessere me lo sono dovuto conquistare col sudore della fronte. Ma tutte queste giustificazioni non mi bastavano". Il finale era scritto, la beffa no: andarsene dopo aver vinto la battaglia con la droga... "Da parte di mio fratello è stata l’ultimo colpo di scena. Ma la vita è fatta di sorprese. Questo libro probabilmente non avrebbe avuto senso se la storia di mio fratello non fosse sfociata in quell’assurdo finale. Franco usava 4 vocaboli per parlare, ma poi scriveva poesie straordinarie. Aveva bisogno di un motivo per vivere e io, dopo esserci ritrovati, ero quasi riuscito a darglielo. Alla fine è successo quel che è successo solo perché s’è fidato delle persone sbagliate". Anche lei racconta di essere andato vicino all’eroina. "C’è stato un momento in cui eravamo disperati allo stesso modo. Lui già faceva uso di sostanze, ma pensavo si trattasse di spinelli o al massimo di pastiglie, finché una sera a cena con degli amici non mi proposero di provare con l’ ero . Fosse stata polvere, probabilmente, un tiro l’avrei fatto e ci sarei finito dentro pure io. Ma i lacci, la siringa, il cucchiaio sulla fiamma mi spaventarono a morte e me ne andai di corsa, mentre mio fratello mi dava del coglione perché non avevo superato quella che considerava una prova di coraggio". L’eroina è il rifugio di chi dorme sotto ai ponti, la cocaina di chi vive nei superattici. "Negli anni ’80 la cocaina era costosissima e quindi alla portata solo di chi se la poteva permettere mentre oggi si trova per strada. Ho fatto magari qualche spinello in compagnia, ma mi sono fermato lì. Ho voluto raccontare la storia mia e di Franchino per rendergli giustizia, perché molti pensano ancora che se ne sia andato per overdose mentre non è così. Anzi, mio fratello è un simbolo. Di successo. Perché dalla dipendenza, come ha fatto lui, si può uscire".

Giorgio Panariello mentre tiene in braccio un cuginetto
Giorgio Panariello mentre tiene in braccio un cuginetto
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