Gianni Morandi: "C’era un ragazzo che come me amava (di più) i Beatles"

Esce il 'censimento' completo degli italiani che hanno reinterpretato i Fab Four. L’eterno ragazzo: "Di fronte a quella di McCartney la mia voce sparisce"

Gianni Morandi

Gianni Morandi

La mia scoperta dei Beatles, il mio avvicinamento alle loro canzoni sono stati come quelli di tutti i ragazzi che negli anni Sessanta si affacciavano alla musica. In più, da parte mia, ci fu la coincidenza che il primo 45 giri, Andavo a cento all’ora, uscì poco prima del loro disco d’esordio. Di loro mi accorsi subito che stavano rivoluzionando i tempi: un terremoto per tutti, in particolare per un ragazzo di sedici-diciassette anni che si preparava a fare quello stesso mestiere.

Per me sono sempre stati un punto di riferimento, continuano a esserlo e nonostante il titolo di una canzone che mi ha portato tanta fortuna, C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones , io ho sempre amato di più i Beatles dei Rolling Stones. Quel testo lo scrisse Franco Migliacci, in cinque minuti: eravamo seduti in un ristorante di Roma e Mauro Lusini aveva portato questa musica con un finto testo inglese su cui appoggiare la melodia.

Migliacci colse lo spunto di una parola su cui costruire una canzone che avrebbe fatto la storia: in poche frasi c’era tutto, la guerra, i gruppi e la musica del momento, il desiderio di pace, gli spari di un mitragliatore. Perfetta per l’aria che soffiava in quel periodo. Fu anche l’ultimo arrangiamento che, dopo tantissimi altri, avrebbe curato per me Ennio Morricone, geniale come sempre: io mi limitai a dire che mi sarebbe piaciuta un’atmosfera come l’attacco di Like a Rolling Stone, di Bob Dylan. Non so se ne tenne conto, ma di certo avrebbe saputo ricavarne l’ennesimo capolavoro. Morricone aveva iniziato a collaborare con il cinema e con Sergio Leone, per cui progressivamente si era staccato dal mondo delle canzoni.

Ricordo che, una volta finito, il pezzo non era destinato a me. Tutti dicevano che con il mio repertorio, tra La fisarmonica e In ginocchio da te, c’entrava poco, sarebbe stato un errore cantare una canzone di protesta: bisognava che la cantasse Mauro Lusini. Fu quella forse l’unica volta in cui decisi di impuntarmi: sentivo addosso perfettamente la canzone, diceva quello che pensavo io, che pensavano tanti giovani, non volevo perderla.

All’epoca in Rca esisteva un team straordinario, con figure di altissimo livello e carismatiche come Morricone, Bacalov, Migliacci, Zambrini e io mi affidavo alla loro sensibilità per interpretare le cover: ne ho fatte tante, da Neil Diamond ai Turtles, per citarne alcuni, e avevano sempre ragione loro. Ma stavolta capivo di averci visto giusto. Andò a finire con un compromesso, la registrammo sia io che Mauro. Poi cosa è successo lo sappiamo tutti. Quella canzone mi ha seguito per tutta la vita e, a cinquantasei anni dall’uscita, io non posso fare a meno di portarla nei concerti, sicuro che tutti mi accompagneranno in coro.

Eppure la partenza non fu facile. In programma durante il Festival delle Rose, una manifestazione estiva trasmessa anche in televisione, la Rai non voleva che andasse in onda il verso in cui si menzionava il Vietnam, polemico verso un Paese alleato in guerra: dovevo evitarlo nell’esecuzione in diretta, ma io lo cantai lo stesso e si scatenò un putiferio, con tanto di interrogazione parlamentare. Per un po’ non venne più trasmessa e, nonostante fosse prima nella hit parade di Lelio Luttazzi, mandavano il retro del 45 giri, Se perdo anche te, con il risultato di spingere anche quello. Poi la censura si fece meno rigorosa: stavano arrivando il ’68, i movimenti studenteschi, e bloccare una canzone come quella sarebbe stato assurdo se non ridicolo.

Il cammino di C’era un ragazzo... sarà trionfale (...) L’hanno ripresa in mezzo mondo, finendo nelle classifiche in Brasile e in altri Paesi, con Joan Baez che ne fece un inno antimilitarista, cantandola anche al festival dell’isola di Wight: gliene aveva parlato un giornalista italiano, Furio Colombo, e lei si innamorò della semplicità di quella storia.

C’era un ragazzo... funziona perché ha un’aria che si ricorda e si impara subito: chi imbraccia una chitarra e vuole suonare sulla spiaggia, in gruppo, dopo La canzone del sole, passerà a quella. Ma se sei in una piazza, all’interno di una manifestazione di solidarietà, va bene lo stesso e dopo tanti anni non ha perso nulla del suo significato: il messaggio è ancora attualissimo.

Mi spiace aver mancato di incontrare di persona John, Paul, Ringo, George... Ci sono andato vicino, quando Gianni Minà era in contatto con Brian Epstein e poteva combinare la cosa: ancora oggi non so perché non ci siamo riusciti.

Nel 1970 mi cimentai anch’io con una canzone dei Beatles: lo avevo evitato fino a quel momento, perché andare a cantare i loro classici, da Michelle a Yesterday, la consideravo una follia senza senso. Così la scelta cadde su Here, there and everywhere, diventata nell’adattamento italiano Una che dice sì. Un’operazione onesta, volenterosa, ma che sinceramente si può dimenticare: l’ho riascoltata, ma diciamo che, se comparata all’originale dei Beatles, alla voce di McCartney, sparisce. Ed è naturale che sia così.

Non è un caso che la loro musica abbia cambiato il mondo.