Giovedì 25 Aprile 2024

Gianni Brera Il mago della parola Le cronache sportive come metafora della vita

Trent’anni fa moriva il geniale giornalista lombardo, funambolo della lingua. Nei suoi pezzi storia, antropologia e invenzione. Un “long form“ sui nostri siti

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di Claudio Negri

“Mistero senza fine bello”. Il calcio oggi si racconta in modo differente, ha mutato pelle e si è marezzato di tatuaggi, iper atletismi e spropositi economici. E ha padroni e commendatori venuti da lontano, specie dall’Oriente. Come i Re Magi. Ma sull’erba divisa in due – la partita, appunto – il gioco del pallone resta consimile a quello dell’aurea definizione di Gianni Brera, il più grande narratore sportivo italiano (isole comprese) del secolo scorso.

Sono trent’anni che Brera se n’è andato in un altrove senza connessione Internet e dal quale negano si torni. Un frontale notturno se lo portò via, incolpevole, nelle brume della Bassa, su un fatale segmento d’asfalto, di ritorno da un cenacolo di amici. “Un colpo secco e via”, come si augurava lui, ragionando sulla morte, da vivissimo, come scaramantica scelta del modo migliore di chiudere bottega. Trent’anni sono una mezza vita. Anche gli orecchianti dello stile breriano fanno fatica a raccapezzarsi.

Al calcio italiano Gioannbrerafucarlo – il suo poligramma più noto – ha regalato nei suoi ruggenti anni, un lessico familiare rinnovato e un vocabolario sorprendente. Ma molto, molto di più ha elargito Brera in campo aperto, dando un senso, storico e sociale alla vocazione tattica nostrana nel saperci difendere e nel risorgere dalle Caporetto dell’esistenza. Il dizionario breriano è un florilegio di parole vive, senza gromma né muffa, che noi vecchi scribi di sport e dintorni maneggiamo senza sforzo: usato sicuro. Parole come libero, cursore, contropiede, melina e millanta altre a tutt’oggi suonano familiari. Certo, ora tendono a prevalere altri lemmi, ma pochi presumono di fare, da impuniti, tabula rasa dei brerismi, come ninnoli di un polveroso tinello. Rinuncereste voi a un aggettivo immaginifico come intramontabile? È sempre farina del suo sacco. E chiamereste in altro modo l’ammiraglia, automobile di riferimento dei corridori ciclisti in un corsa? Non è una questione di gusti, è la parola che l’uso ha legittimato a essere la più adatta.

E questo entusiasmo lessicale lussureggia dall’humus del lavoro quotidiano del grande giornalista: decine e decine di cartelle battute a scottadito sui secchi tasti della macchina per scrivere. Un lavoro "non d’artista, ma – distingueva lui, in umiltà – da mero artigiano". Così Brera ci rimase male quando Umberto Eco lo definì "un Gadda spiegato al popolo". Il Nostro obiettò che un povero cristo, condannato a sfornare tot pagine quotidiane e in tempi risicati per furia di rotativa non può certo tornire e ornare la sua scrittura come un autore nelle pantofole del suo studio, come San Girolamo, senza l’assillo dell’orologio. Dalla fucina di Brera sono nati anche termini che hanno avuto minore fortuna, come cachèttico (deperito) e bradipsìchico (uno che ragioni assai lento).

Nello stile eroicomico breriano, però, non mancherà mai l’arrosto, la sostanza tecnica. Anche per questo il Maestro era e resta inimitabile. Come nelle fulminanti definizioni (Mariolino Corso, ribattezzato "participio passato del verbo correre" per non voler dannarsi troppo a faticare, bastandogli la classe a chilometro zero), nella caustica serie degli abatini (dall’olimpionico Livio Berruti a Gianni Rivera) o nella onomastica da nativo americano come Rombo di Tuono: Gigi Riva da qui all’eternità. Per lui Brera aveva concepito in origine un altro soprannome: Re Brenno.

Omaggio, in tempi poco sospetti, all’amata Lombardia e al suo variegato ethnos, dai Liguri ai Celti, dai Romani ai Longobardi. Nel nostro mondo multietnico e multipolare – ma anche molto ipocrita nel fanatismo del politicamente corretto – l’etnologia di Brera rischia ai nostri giorni l’interdetto, il bando, la damnatio memoriae? Le ardue sentenze sono pertinenza dei posteri, che di volta in volta siamo noi e coloro che verranno dopo: tutti viaggiatori del tempo in un presente ora progressivo, ora regressivo.

Nel cammin di sua vita, Gianni Brera non giocò mai in difesa: fu paracadutista volontario in guerra e poi partigiano nella Resistenza. Il suo vanto di combattente? Quello di non avere mai ammazzato nessuno. Da giornalista aveva una forza trainante di quarantamila copie in più, come si stimava ai tempi in cui diresse la mitica redazione sportiva del Giorno. E qui sarebbe da raccontare l’influsso breriano su molti di noi, direttamente o per osmosi o per soave deriva gastronomica. Il rito della cena notturna, dopo le partite e le assillanti faccende redazionali, ci è sempre parso il modo migliore per onorare Gioannbrerafucarlo, gourmet della vita. Con impervia licenza del fegato, del colesterolo e della glicemia. Prosit ad infinitum, Maestro.

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