Sabato 20 Aprile 2024

I teschi di Gerico. Alba dell’umanità

La città più antica 12mila anni fa

Gerico, scavi

Gerico, scavi

Roma, 19 settembre 2019 - Era forse una notte di luna quando un gruppo di cacciatori-raccoglitori della fine del Paleolitico decise di accamparsi accanto a una sorgente situata nella depressione del Mar Morto. Così, a 260 metri sotto il livello del mare, nasceva, circa dodicimila anni fa, Gerico, la prima città del pianeta. Il professor Lorenzo Nigro, tra i più noti archeologi italiani, racconta nel suo primo romanzo Gerico. La Rivoluzione della preistoria (ed. Vomere), le scoperte ottenute in vent’anni di scavi a capo della missione dell’Università “La Sapienza”. Il libro, di prossima uscita, è un esperimento di divulgazione ben riuscito, che coniuga il morbido andamento della narrazione con il rigore scientifico dell’addetto ai lavori.

Professore, come mai scrive di “rivoluzione”?

"È stato in quest’oasi fertilissima – e popolata da api – che l’uomo è diventato agricoltore-allevatore, emancipandosi dal nomadismo e cominciando a controllare direttamente la natura, con tutto l’indotto culturale e antropologico che questa rivoluzione avrebbe comportato".

La scoperta più determinante ai fini della datazione?

"Si deve al ritrovamento di una punta di freccia di ossidiana (il vetro vulcanico utilizzato per tutto il Neolitico) la possibilità di datare l’antichità di Gerico. In questo primissimo stanziamento di capanne, protetto da una palizzata di legno, i nostri progenitori iniziarono a coltivare i primi alberi da frutto, il fico e il melograno, cui seguirono presto il mandorlo e la palma da dattero. Incredibile come molti semi si siano conservati non solo negli strati del terreno, ma anche imprigionati negli intonaci, i primi del mondo. La coltivazione dei cereali imponeva, infatti, la realizzazione di silos che dovevano essere protetti dai roditori con impenetrabili rivestimenti a base di gesso e olio di lino. Sempre per ovviare a questo problema, venne addomesticato il gatto. Nonostante la comunità dei primi gerichioti continuasse ad alimentarsi in gran parte di selvaggina – soprattutto gazzelle e uri selvaggi – aveva anche cominciato ad allevare capre e pecore. Con gli ovini arrivò il cane da pastore, nient’altro che una nuova carriera per il lupo grigio che già da millenni accompagnava l’uomo nella caccia. Da quel momento ebbe inizio la lunga storia della domesticazione del cane". 

E per l’organizzazione sociale?

"Sempre dall’attività venatoria vennero mutuate le prime forme di gerarchia sociale: il capocaccia si trasformò nel capo del villaggio e le preziose forme di sapere maturate in tema di allevamento e coltivazione crearono le prime classi sociali. Le inevitabili disuguaglianze dovevano essere giustificate e mantenute dai riti di iniziazione e celebrazione. Così si spiega l’altare “ a ciambella” rinvenuto nell’insediamento dove venivano sacrificati animali e perfino fanciulli. Commovente il ritrovamento di cinque teschi appartenuti a ragazzini che vennero lì sgozzati, probabilmente per un’offerta propiziatoria agli dei".

Dagli scavi emerge una sorta di macabra ossessione dei gerichioti…

"Il loro rapporto con i crani era molto forte: ne sono stati rinvenuti 45 curiosamente ricoperti e plasmati con creta e gesso, infine dipinti con ocra e sangue (ovino, o umano?). I teschi ripuliti dal tempo venivano poi disseppelliti e modellati con questi materiali per essere esposti nelle case, o inseriti nelle mura degli edifici sacri. Questi crani dovevano rappresentare una sorta di “ritratti di famiglia” per antenati ormai divinizzati. Nelle loro vuote orbite si inserivano delle madreperlacee e inquietanti conchiglie, le stesse che sono state ritrovate incastonate, al posto degli occhi, nel volto di quella che è la prima statua della storia, che abbiamo ricomposto idealmente con altri pezzi già conservati al Louvre. Forse si trattava di una divinità lunare, stranamente dotata di una testa piatta e di mani con sei dita ciascuna".

Inevitabile che qualcuno sia colto da suggestioni paleo-ufologiche, non crede?

"In realtà l’essere un monstrum, un prodigio, deve essere considerato come un attributo soprannaturale. Questa testa mi ha sempre fatto venire in mente Wilson, il pallone decorato con un volto che era in realtà l’impronta della mano insanguinata del naufrago del film Cast Away, interpretato da Tom Hanks. Un idolo creato ad hoc, segno di un disperato bisogno di Dio nella nostra vita: se non lo riusciamo a trovare, in qualche modo ce lo fabbrichiamo".

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