Giovedì 18 Aprile 2024

"Film, donne e cucina: la lezione di papà Ugo. Così ci ha insegnato a vivere di passioni"

A trent’anni dalla scomparsa, i figli ricordano Tognazzi a Torvaianica con una serie di iniziative. Ricky: amava quella villa al mare. "Ogni estate organizzava lì un torneo di tennis. Da Panatta a Gassman c’erano tutti, lui una volta si presentò con un elefante"

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Che estati quelle estati a Torvaianica, roba da far crepare d’invidia i frequentatori di altri più blasonati lidi. Giornate e notti di chiacchiere e bagordi, di mangiate e bevute, di risate e sport. Eh sì, perché nella cittadina di mare a una trentina di chilometri da Roma si svolgeva anche un torneo di tennis, con l’assegnazione al vincitore di un trofeo non meno ambito dell’Insalatiera di Wimbledon: lo Scolapasta d’oro. Tutto era all’insegna del divertimento tra amici come Vittorio Gassman, Dino Risi, Mario Monicelli, Marco Ferreri, Luciano Salce, Raimondo Vianello, Paolo Villaggio, Luciano Pavarotti e tanti altri, accolti e coccolati da uno straordinario anfitrione, Ugo Tognazzi. Una festa in riva al mare, andata avanti per ventisei anni, a partire dai mitici Sessanta.

E per ricordare il grande attore, regista, sceneggiatore scomparso trent’anni fa, Torvaianica organizza dal 21 al 23 agosto ‘Ugo Pari 30’, un omaggio la cui direzione artistica è curata dai figli di Tognazzi, Ricky (nella foto in basso), Thomas, Gianmarco e Maria Sole. Le sue grandi passioni erano cinema, donne e cucina, in ordine forse a volte diverso. E allora per ricordarlo, verranno proposti una manciata di titoli, da Amici miei a La grande abbuffata, e, preparati dai ristoranti della zona, alcuni piatti come il risotto al melone e lo stinco di santo. Una carriera fantastica, lunga 153 film da attore e 6 da regista, interrottasi il 27 ottobre 1990, quando Tognazzi se ne andò nel sonno, per un’emorragia cerebrale, a 68 anni.

Ricky, come mai proprio Torvaianica?

"Ugo voleva prendere una casa al mare, vicino a Roma. Prese appuntamento con l’agenzia immobiliare per visitarla e quando fu lì comincio a dire, bella ma rumorosa, con l’aeroporto militare di Pratica di Mare qua vicino. E l’agente a replicare, ma no, è quasi in disuso, non ci sono più voli. Ugo, che aveva un amico nelle Frecce Tricolori, continuava a guardare l’orologio. All’orario stabilito alcuni caccia cominciarono a volare nel cielo sopra Torvaianica. Quello dell’agenzia, allibito, fu costretto ad abbassare il prezzo".

Com’erano quelle estati a Torvaianica?

"Era diventato un luogo dell’anima, teatro di tante cose, dalla storia d’amore tra Ugo e Franca (Bettoja ndr), al torneo di tennis tra addetti ai lavori del cinema. Sembrava dovesse essere il divertimento di un anno, alla fine è andato avanti per ventisei edizioni. In particolare nella settimana a cavallo tra agosto e settembre passavano tutti. Piuttosto che andare altrove, i colleghi preferivano venire lì a giocare a tennis, a trascorrere una settimana di mangiate, bevute e grande divertimento. E tutte le sere papà era impegnato a fare da mangiare per trenta, quaranta, cinquanta persone. Il giorno della finale, poi, era un delirio. Si aspettavano un centinaio di persone e ne arrivavano trecento o anche di più. Anno dopo anno era diventato un baccanale, con papà spaventato che si chiudeva in una stanza e diceva, non esco di qua. Poi si tranquillizzava e usciva fuori. Arrivavano tutti, Gassman, Umberto Orsini, Luciano Pavarotti, Paolo Villaggio, Adriano Panatta, Nicola Pietrangeli, uno dei Rolling Stones. E poi ogni anno Ugo se ne inventava una. Un anno ha fatto venire un elefante da un circo lì vicino. Era un Hellzapoppin, una follia continua".

Un ritrovarsi tra colleghi e amici da cui nascevano anche idee e film.

"Parliamo proprio di archeologia sociale. Era una Roma degli anni Sessanta e Settanta in cui c’era un modo di stare insieme, di giocare, di creare progetti, una libertà che non esiste più. Un mondo che racconta bene Maria Sole nel documentario che ha realizzato utilizzando anche vecchi filmini in Super 8".

Che padre è stato?

"Lo definisco sempre un padre di salvataggio. Non è che si vedesse tanto, però quando serviva c’era. E quando era presente, era molto affettuoso, faceva molto ridere. E saper far ridere per un padre è un’arma importante. Non ho mai riso così tanto come con lui".

Qual è l’insegnamento principale che le ha trasmesso?

"Fare sempre tutto con passione. Lui non faceva mai le cose in modo svogliato. Che fosse un film da girare, una cena da preparare, una vacanza da organizzare, una storia d’amore da vivere, lo faceva con tutto se stesso. Quando andava sul set, era pregno del film che stava facendo. Si divertiva e faceva divertire gli altri. Oppure cominciavano a prenderlo in antipatia, lui e il regista, e allora iniziava a combattere. Non si accontentava, voleva sempre di più. Non so se io ho la sua stessa capacità, ma sono convinto che questo mestiere si può fare solo in questo modo. Per me è stato un faro".

Dopo essersi fatto fotografare ammanettato nel 1978, finendo sul ‘Male’ con le finte prime pagine di alcuni giornali che scrivevano ‘Arrestato il capo del Br’, si giustificò affermando: rivendico il diritto alla cazzata.

"In realtà si era pentito di avere fatto quello scherzo al limite del buon gusto. Ma rivendicava il diritto alla cazzata, così come rivendicava anche il diritto di fare dei film come regista che forse non gli avrebbe fatto fare nessuno. Infatti, tutti quelli fatti come regista, erano film molto strani, molto pericolosi, molto coraggiosi, modernissimi, distopici, come Il fischio al naso o anche Cattivi pensieri. Gli piaceva tutto ciò che poteva essere in qualche modo inusuale, diverso, da cui anche la passione per Ferreri".

Tanti i grandi compagni di lavoro, da Sordi a Manfredi a Mastroianni, ma il legame più forte è stato forse quello con Gassman.

"C’era un’affinità amicale molto forte e hanno fatto molti film insieme, dai Mostri a La terrazza a tanti altri. Ma erano veramente come il giorno e la notte, e forse proprio in questo è stata la ragione del loro volersi così bene e non sentirsi rivali. Ugo riconosceva in Gassman il maestro del teatro, l’uomo di grande cultura, mentre Vittorio riconosceva in Ugo questa verità, questa terragnità, questa capacità di tradurre tutto in modo concreto. E insieme facevano faville, insieme ognuno dei due si regalava qualcosa. Sono stati grandi compagni di lavoro e anche grandi compagni di vita. Si sono tenuti molta compagnia anche durante il periodo di depressione. Sono stati depressi nello stesso periodo e gareggiavano a chi riusciva a guardare più a lungo un centrino sulla tavola, senza piangere. Si raccontavano il loro male oscuro, e anche in questo avevano trovato una complicità".

C’è un film che ama in modo particolare tra i tanti fatti da suo padre?

"Non riesco a scegliere perché Ugo aveva tante anime. Indubbiamente l’incontro con Ferreri è stato per entrambi fatale e meraviglioso e hanno regalato l’uno all’altro tantissimo, e penso a La grande abbuffata, a L’ape regina, a La donna scimmia, che sono film pazzeschi, avanti di trent’anni. Ma poi penso anche alla grande commedia che è riuscito a fare con Dino Risi, con Monicelli, penso a Romanzo popolare. E penso alla sua gioia di lavorare con Bertolucci e con Pasolini: ancora mi commuovo quando ricordo lui che me lo dice, emozionato come un bambino. È una filmografia così variegata, così caleidoscopica, che scegliendo un film, si fa torto a tutti gli altri".

È vero che accettava critiche ai suoi film ma non ai suoi piatti?

"Verissimo. Ha avuto un vero corpo a corpo con la ribollita. Alcuni amici toscani avevano sempre da ridire. In particolare a un’ultima cena, una di quelle in cui erano sempre in dodici più Ugo, era previsto il voto su ogni piatto che, su bigliettini anonimi, andava da ottimo, buono, mangiabile e arrivava a caga.., grande ca.., grandissima ca…. In riferimento alla ribollita, uno scrisse ‘grandissima ca…’. Ugo se ne andò a letto offeso, senza salutare, e il giorno dopo portò il bigliettino a un calligrafo per scoprire chi era stato".

 

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