Fiamme e licheni: salviamo i giganti di Rapa Nui

Il restauratore Casamenti: "In questi giorni il terribile incendio doloso. Ma da anni curo quelle statue, aggredite da un fungo corrosivo"

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di Cristina Privitera

"Mi piange il cuore a vedere le foto dell’incendio, che amarezza, in un luogo che definirei magico". Lorenzo Casamenti, restauratore fiorentino, 74 anni, si commuove parlando delle fiamme che hanno sfregiato alcuni dei moai, i giganti di pietra dell’Isola di Pasqua (Rapa Nui) che affascinano da sempre per la loro maestosità e le origini avvolte dal mistero.

Quelle statue di roccia lei le ha già curate come restauratore. Stavolta si salveranno?

"Non è la prima volta che il fuoco le minaccia e questi incendi non sono casuali, c’è dietro la mano dell’uomo, a causa di conflitti locali. Le menti malate esistono ovunque. E sì, se le autorità intervengono subito i danni sono riparabili: basta ripulire prima possibile la cappa nera con acqua e sapone".

Ma la malattia grave dei suoi moai in realtà è un’altra?

"Sì, si chiama licheni. Un fungo nel caso dei moai particolarmente forte e aggressivo che li ha aggrediti e li sta corrodendo. Una sorta di cancro della pelle che crea dei profondi buchi nella pietra che è di origine vulcanica e quindi porosa".

Quando è riuscito a fare la diagnosi?

"Sono stato nell’Isola di Pasqua la prima volta nel 2009, grazie a contatti presi mentre mi trovavo in Cile. Impatto glaciale".

Perché?

"Perché di fronte alla proposta di studiare la corrosione che attaccava le statue – nonostante l’impresa fosse tutta a nostre spese grazie all’intervento dell’Istituto Lorenzo de’ Medici nel quale insegno – ci fu qualche resistenza. I polinesiani erano diffidenti".

Però lo studio fu comunque avviato.

"Le autorità locali accettarono che venisse fatta un’analisi dei licheni che avevano attaccato le statue per trovare una soluzione. Anche perché, viste le condizioni in cui versavano si rischiava che il deterioramento fosse irreversibile. La situazione era davvero grave".

E che cosa scoprì?

"Di quale tipo di lichene si trattava. E grazie a Leonardo Borgioli del Cts, un centro leader in Europa nello studio dei materiali per il restauro, arrivammo anche a trovare la cura: un antibiotico, equivalente per composizione a quelli usati per gli esseri umani, in grado di uccidere quel tipo di fungo. I test dettero ottimi risultati".

E ha funzionato con i moai?

"Il risultato di questo biocida è andato oltre ogni aspettativa. Nel 2010 tornammo a Rapa Nui, io e un gruppo di miei studenti del corso di restauro del Lorenzo de’ Medici, l’istituto che continua a finanziare il progetto. Il biocida venne testato su un moai, alto 7 metri e diametro di due e mezzo, che fu poi avvolto con una pellicola per evitare gli effetti di vento e pioggia. E restammo con grande ansia per tre giorni in attesa del risultato".

Un effetto di risanamento che dura tuttora?

"Abbiamo avuto fortuna. Da allora sono tornato ogni anno a Rapa Nui, l’ultima volta pochi giorni fa, e i nostri quattro moai trattati dimostrano ottima salute. Direi che sono perfetti. Il trattamento ha dato ottimi risultati e abbiamo verificato che gli effetti si mantengono nel tempo".

E sarà di nuovo lì a breve.

"Ripartiremo ad aprile, sempre insieme a un gruppo di miei studenti, tutti provenienti dagli Usa, e conto di raggiungere un obiettivo che mi pongo da tempo e che in parte è già stato avviato: formare personale locale che si faccia carico della cura dei moai".

Con quali modalità?

"Abbiamo raggiunto un accordo con la comunità indigena Ma’u Henua per sviluppare una collaborazione per formare e dare lavoro ai giovani. Sono convinto che se impari la tecnica di conservazione e sei un rapa nui, lo farai con molta più passione di un’altra persona che viene da fuori".

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