Martedì 23 Aprile 2024

Il boss, gli ultimi e quel concerto “stonato”

Il concerto di Bruce Springsteen, da sempre dalla parte dei deboli, a pochi metri dal disastro e dai morti dell’alluvione in Emilia Romagna

CONCERTO BRUCE SPENGSTEEN

CONCERTO BRUCE SPENGSTEEN

"Uomini che camminano lungo i binari della ferrovia / diretti da qualche parte dove non c’è ritorno / elicotteri della stradale spuntano dalla collina / una zuppa bollente sul fuoco sotto un ponte / la fila per un ricovero che fa il giro all’angolo / benvenuti nel sistema del nuovo mondo / famiglie che dormono nelle loro macchine nel Sud-Ovest / niente casa, niente lavoro, niente pace, niente riposo".

In "The Ghost of Tom Joad" (1995) Bruce Springsteen, partendo da "Furore" di Steinbeck, torna in quei luoghi dell'umanità che aveva preso ad esplorare in "Darkness on the Edge of the Town", il suo quarto album, uscito nel '78 dopo i furori di "Born to Run".

I luoghi degli ultimi, dei disperati, dei derelitti, degli sfollati, dei migranti, degli abbandonati. "Se c'è un tema che corre in tutto 'Darkness' - spiega Bruce nel suo libro 'Songs' - è quello del sottile confine che divide l'eternità da quell'attimo in cui il tempo si arresta e tutto diventa nero, quando le cose che ti connettono al tuo mondo, il tuo lavoro, la tua famiglia, gli amici, la fede, l'amore nel tuo cuore, ti abbandonano. Volevo che il sangue su di esso venisse percepito come fatale e profetico".

Alcune canzoni di "The Ghost of Tom Joad", scrive sempre Bruce, "collegavano le vite dei miei primi personaggi alle esperienze degli immigrati messicani del New West. Queste canzoni chiudevano un cerchio, riportandomi al '78 e al libro di Steinbeck che mi aveva inspirato" (in realtà il Bruce di "Darkness" venne introdotto al libro grazie alla visione tv, una sera mentre fa zapping, di quel film sui contadini Usa sotto la Grande Depressione diretto da John Ford in cui Henry Fonda era Joad, stando alla biografia di Springsteen di Peter Ames Carlin).

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Comunque, il racconto di Bruce su "The Ghost" va avanti così: brani su gente, magari ora dalla pelle più scura, ma “intrappolata dalle stesse brutali circostanze... ‘Across the Border’ è una canzone che era come una preghiera o un sogno che puoi fare la notte prima di affrontare un viaggio pericoloso. Il protagonista è in cerca di una dimora dove il suo amore verrà premiato, la sua fede ristabilita, dove pace e speranza, per quanto flebili potranno esistere.

Con ’Galvston Bay’ dovevo rendere queste idee raggiungibili. La canzone pone la domanda: l’atto più politico è un atto individuale, qualcosa che avviene nell’oscurità, nella quiete, quando qualcuno prende una decisione particolare che ha ripercussioni sulla realtà più vicina a lui? Volevo un personaggio spinto a fare la cosa sbagliata, ma che si ferma in tempo. Che istintivamente rifiuta di aggiungere altra violenza nel mondo che lo circonda. Con grande difficoltà e contro la sua stessa natura, trascende le circostanze e trova la forza e la grazia di salvare se stesso e la parte di mondo che tocca”.

E’ per canzoni come queste, per parole come queste che Bruce Springsteen è sempre stato non solo il rocker più grande, ma anche quello capace di ispirare un amore assoluto - tra i suoi fan - alimentato dalla certezza che intorno a lui e alla sua musica, che attraverso lui e la sua musica, a ogni suo concerto riprendesse vita una comunità di persone mosse a migliaia all’unisono dalla stessa cura, dalla stessa attenzione che ha lui nel dar voce - la più potente voce rock del mondo - agli ultimi, ai disperati, ai derelitti, agli abbandonati. A chi è in questa condizione per colpa di una società profondamente ingiusta, a chi lo è anche solo nel suo cuore. E grazie al fatto che il Boss lì in scena ne canta, ne celebra la dignità, ne focalizza la sofferenza, e la sofferenza l’alleggerisce e la guarisce nella festa, la riempie nonostante tutto di speranza, insomma è per questo che il Boss è il più grande.

Fino a ieri sera, però. Perché se davvero sei dalla parte degli ultimi, dei derelitti, dei disperati, non vai a fare il tuo show a Ferrara, a un pugno di chilometri _ stessa regione _ da chi è appena morto in un’alluvione di una gravità senza precedenti, in quella terra. Vite, famiglie, case distrutte. Il concerto non lo puoi annullare perché non c’è assicurazione? Il governo italiano, le autorità cittadine non te ne danno la possibilità? Lo annulli tu, i soldi ce li metti di tasca tua, ne hai tanti. Non li usi per fare una donazione: annulli il concerto. Lo diventi tu il personaggio spinto (dal sistema impazzito dei live miliardari) a fare la cosa sbagliata, ma che si ferma in tempo. Che istintivamente rifiuta di aggiungere non violenza, ma semplicemente indifferenza, semplicemente un atto di schiavitù alla legge dello show business, nel mondo che lo circonda. Con grande difficoltà e contro la tua stessa natura di performer inarrestabile e responsabile di quelli che lavorano con te eccetera eccetera, trascendi tu - mio amato, amatissimo Boss - le circostanze . E trovi la forza e la grazia di salvare te stesso e portare rispetto a quella parte di mondo, a quelle vite distrutte, che magari non tocchi. E’ una parte di mondo che non tocchi dal palco di Ferrara  però sta lì, pochi chilometri a sud, verso il mare, lo stesso cielo che vedi tu se alzi gli occhi, la stessa aria che respiri. La stessa terra.

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