Venerdì 19 Aprile 2024

"Essere Malkovich? Un re delle stroncature"

Il divo a Milano con la pièce sulle critiche più cattive della musica. "Per gli artisti sono anche un bene. Ma quelle su di me non le leggo"

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di Andrea Spinelli

Critici, vil razza dannata. O forse no. "Oggi tutti possono scrivere la loro opinione sul web e il pubblico può essere molto più crudele di chi lo fa di professione" assicura John Malkovich parlando in video da Boston di The Music Critic, la pièce musicale che porta sul palco degli Arcimboldi di Milano il 3 dicembre; una brillante collezione di stroncature delle opere di colossi come Brahms, Ravel, Chopin, Prokofiev, inconsapevoli dello scherno a cui le avrebbe consegnate la storia. Quelle di definire Beethoven "bizzarro e barocco" o Schumann "uno si crede di essere un compositore" sono, infatti, le responsabilità dei recensori dalla penna acuminata su cui punta il dito con ironia lo spettacolo ideato e scritto da Aleksey Igudesman. Da un lato c’è il critico-inquisitore Malkovich mentre dall’altro la difesa affidata agli strumenti dello stesso Igudesman e degli altri musicisti in scena.

Signor Malkovich, mestieraccio quello del recensore.

"Penso che non sia affatto facile fare il critico. C’è chi pensa che la musica debba rappresentare un luogo sicuro per l’artista e invece non è così. L’artista mette a disposizione degli altri il suo lavoro e quindi non potrà mai ricevere soltanto critiche positive. Soprattutto al tempo di Internet. E poi chi dice che certe critiche non abbiano fondamento?".

Lei come si regola?

"Non ne leggo molte, perché su di me ne scrivono troppe e ho parecchio da fare. E poi il problema a volte sta più nella reazione dell’artista che nella critica in sé, spesso scritta bene e con la giusta ironia. Bisogna saperle accettare".

Però nel finale di The Music Critic parla proprio della “demolizione” di un suo spettacolo.

"Mi sono messo in gioco pure io leggendo quel che scrisse di me un critico turco. Tempo dopo ho avuto modo di conoscerlo personalmente: s’è detto felice di essere citato nello spettacolo e ne ha fatto una recensione positiva. A volte le critiche sono grandi lezioni, anche perché ciò che viene considerato brillante oggi può non esserlo tra vent’anni o magari ci sono proposte che arrivano troppo in anticipo sui tempi".

Intanto, però, a 67 anni lei è ancora John Malkovich, divo consolidato ma anche aperto alle sperimentazioni dei film di Spike Jonze o degli scatti di Sandro Miller proprio in questi giorni alle Stelline di Milano con la mostra Malkovich, Malkovich, Malkovich. Homage to Photographic Masters.

"Sinceramente non so proprio dire perché la gente mi veda così e mi coinvolga in questi progetti strani. Non lo capisco, ma non mi dispiace".

Qual è la sua Italia?

"Mia moglie (Nicoletta Peyran, ndr) è nata vicino a Torino e quindi vengo spesso. Ma conosco bene pure Roma, dove l’ho incontrata (sul set de Il tè nel deserto di Bernardo Bertolucci - ndr) e dove ho vissuto per alcuni mesi mentre giravo con Sorrentino la serie tv The New Pope. Poi ci sono pure Venezia o quella Milano che ho frequentato ripetutamente quando ho collaborato alla creazione di una linea di vestiti".

Progetti?

"Diversi. In primavera girerò Complément cramé!, un film di Gilles Legardier con Fanny Ardant, poi a gennaio mi aspetta una parte in Ripley, serie tv di Steve Zaillian basata sui romanzi di Patricia Highsmith realizzata in parte a Venezia. A maggio, in quel di Riga, ho le prove teatrali di Nella solitudine dei campi di cotone di Koltès. E infine sarò Karl Lagerfeld nel film su Yves Saint Laurent scritto e diretto da Rupert Everett e il direttore d’orchestra rumeno Sergiu Celibidachi in The Yellow Tie, diretto dal figlio Serge Ioan Celebidachi".

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