Mercoledì 24 Aprile 2024

Eros e commedia: i dolci inganni di Lattuada

Il festival di Locarno rende omaggio al regista con una grande retrospettiva. Tra letteratura, spirito caustico e fanciulle in fiore

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di Silvio Danese

Un bambino che gira tra le quinte della Scala mentre papà Felice, direttore d’orchestra, fa le prove. Un ragazzetto pronto a capire negli anni ‘20 che l’opera sta diventando élite e il cinema invece potente spettacolo popolare. E un giovane studente d’Architettura col talento dell’ "occhio quadrato", titolo di un memorabile libro fotografico nella Milano d’inizio guerra, disposto a rischiare denunce per trafugare e nascondere nei covoni di una cascina pellicole da salvare, con Gianni Comencini e Mario Ferrari, il primo mattone della Cineteca Italiana.

Non è facile trovare biglietti per qualcuno dei 42 film (sì, ci sono tutti) della Retrospettiva che Locarno dedica in questi giorni (fino al 14) ad Alberto Lattuada, diciamo pure un gigante del cinema italiano del secolo scorso. Nel cinema italiano è stato il raffinato principe delle relazioni amorose tra letteratura e cinema, in altro modo da Visconti, ovvero schivo al melodramma, percettivo della cronaca, sensibile alla commedia, incline all’erotismo eterosessuale.

Né neorealista, né altro, agli esordi fu accusato di calligrafismo, perché aveva assorbito il gusto formale dell’inquadratura da Mario Soldati e Poggioli. Ma è come accusare Dino Risi di goliardia. Quasi nessun regista italiano ebbe la spina dorsale letteraria di Lattuada combinata a uno sguardo morale ben temperato dal sorrisetto ironico dai baffetti: il distinto e promiscuo ragionier Paronzini di Tognazzi (Venga a prendere il caffé da noi..., 1970) e la Suor Germana di Sophia Loren (Bianco, rosso e..., 1972), vengono da un sapere infallibile sui grandi personaggi in film di successo, da La lupa (1953) da Verga e Il mulino del Po (1948) da Bacchelli, a La tempesta (1958) da Puskin, La steppa (1962) da Cechov, La mandragola (1965) da Machiavelli. Gigante, ma non solo per i titoli più celebri, come Senza pietà (1948), La spiaggia (1954), Cuore di cane (1976).

Con le sue guendaline, che non erano ninfette, ma "donne in erba", riusciva ad aggiungere alla cultura una personale degustazione del femminile in procinto di affacciarsi al mondo. Non era facile tra camilli e don pepponi. Non si scoprì mai così apertamente come in Le farò da padre (1974), nel quale un ribaldo e romantico Gigi Proietti chiede la mano della quindicenne Therese Ann Savoy per strategia industriale, ma se ne innamora perdutamente.

Di attrici ne ha iniziate tante, talent scout di Catherine Spaak (Dolci inganni, 1960), Jacqueline Sassard (Guendalina, 1957: per uno strano gioco del destino la Sassard è scomparsa proprio in questi giorni, il 28 luglio, a 81 anni), Carla Del Poggio (Il bandito, 1946) che diventò sua moglie, fino a Nastassja Kinski (Così come sei, 1978) e Clio Goldsmith (La cicala, 1980). Una perdizione concreta per le adolescenti, ma in un gioco artistico incline al romanzesco.

Torniamo alle radici. Un giro di ragazzi d’oro raccontato da Dino Risi: "Non avevo mai fatto niente nel cinema quando, nel negozio dei miei amici antiquari Schubert, nel 1940, ho incontrato Alberto Lattuada, che mi propone di fare con lui l’assistente di Mario Soldati per Piccolo mondo antico. Lattuada era mio compagno di liceo, al Berchet. Eravamo tutti innamorati della stessa ragazza al liceo: Valentina Visconti. Un sogno di ragazza. C’era un gruppo di amici che aspettava Valentina fuori dalla scuola. Si pigliava il tram 35 e si andava fino a Taliedo dove lei abitava, vicino al palazzo del ghiaccio. Un vero corteo, oggi non si può immaginare. Io stavo nelle ultime file. Andavano avanti gli sportivi, i giocatori di hockey, i più audaci. Poi però se la portava via Carlo Ponti, perché aveva la macchina. Lui era laureato. Lui era l’avucàt".

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