Era ora, il film con Edoardo Leo: "Il tempo vola? Fermiamoci a riprenderlo"

L'attore nella commedia diretta da Aronadio: "C’è più bisogno di equilibrio tra il lavoro e la vita"

Edoardo Leo

Edoardo Leo

Dante ha appena festeggiato il suo quarantesimo compleanno, ma la mattina dopo si sveglia e scopre con sgomento che ha quarantuno anni. E così ogni anno vola via senza lasciare traccia, bruciato in un giorno, fino al punto di trovarsi padre di una bambina di cui non sa nulla. Cosa gli sta succedendo? Tra giornate assorbite dal lavoro e sempre dense di impegni, la sua vita è un turbine. "Il film affronta in modo giocoso e con i toni della commedia, un tema angosciante come lo scorrere del tempo", spiega il regista Alessandro Aronadio. Edoardo Leo è Dante, un uomo “nel mezzo del cammin di sua vita“, in Era ora (ispirato al film australiano Come se non ci fosse un domani di John Lawson) uscito su Netflix a metà marzo e da allora saldamente al top della classifica dei più visti della piattaforma streaming. Accanto a Edoardo, Barbara Ronchi.

Leo, il tempo vola?

"Quando avevo trent’anni e faticavo a pagare l’affitto, non passava mai. Ora è diverso. Siamo partiti da questa domanda, che ci riguarda tutti e che tutti ci facciamo. Suona come una frase fatta e invece è così: ‘’è passato un anno e non me ne sono nemmeno accorto’. E più si va avanti con l’età e più si avverte questo scorrere veloce del tempo".

Sulle donne pesa in maniera diversa che sugli uomini.

"No, non credo che sia una questione di genere. Penso che sia lo stesso, per tutti".

Tanti impegni di lavoro, mai tempo per altro, se non ritagli, come il suo Dante. Mai il desiderio di prendersi una pausa?

"Ci sono stati anni, in passato, in cui sognavo di essere soffocato dal lavoro. E quindi, adesso, non dico che godo per i tanti impegni, ma in qualche modo sì, perché è ciò che ho sempre desiderato. Posso scegliere, non sono più obbligato a fare solo commedie, ho fatto questo film e sto girando con Liliana Cavani L’ordine del tempo, e tutto ciò, per chi fa questo mestiere, è il massimo. Forse ci vorrebbe maggiore equilibrio, ma dopo quasi trent’anni, posso dire che l’equilibrio non lo trovi mai".

Si chiede mai se ne vale la pena?

"Se lo fai è perché, per te, ne vale la pena. Non è soltanto una passione. La passione è dei dilettanti, è un hobby. Per me è qualcosa di divorante, è un’ossessione. Mi chiedo ogni volta perché sottraggo tempo alla famiglia, agli amici, per andare a fare le tournée di teatro, che ancora mi ostino a voler fare, prendendo la macchina e facendo centinaia di chilometri, mentre sto girando un film. A volte, mentre sono in macchina, mi dico, ma perché? E la risposta è sempre la stessa: perché non ne posso fare a meno. E in questo c’è qualcosa di eroico e qualcosa di un po’ miserabile: miserabile perché sai di farlo per andare a prendere gli applausi".

Condivide la protesta di Pierfrancesco Favino contro l’utilizzo di attori stranieri per personaggi italiani?

"Sono totalmente d’accordo con lui, ma dipende anche da una situazione più generale. Siamo gli unici in Europa a non avere un contratto nazionale, con minimi garantiti e tutto il resto. Come UNITA (Unione Nazionale Interpreti Tetro e Audiovisivo), insieme a Fabrizio Gifuni, a Paola Cortellesi e a tanti altri ci stiamo battendo per ottenerlo, per essere riconosciuti come categoria, soprattutto per i più giovani e i meno fortunati".

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