di Cesare De Carlo Ti spacco la faccia, gli urlò Marlon Brando. Ron non se ne lasciò impressionare. E fece male visto come sarebbe finita. Sapeva che l’attore aveva un caratteraccio, che detestava farsi fotografare. Non il solo. Anche molte altre celebrità si negavano in un’epoca in cui i rotocalchi pagavano a peso d’oro gli scatti rubati alla loro privacy. Quante baruffe! E quanti denti rotti! Ron Galella, morto l’altro ieri nel New Jersey a 91 anni, diceva: fa parte del mestiere. Come quella volta che era stato picchiato dalle bodyguards di Richard Burton e Elizabeth Taylor davanti a un ristorante di New York. Gli avevano fatto saltare un dente. E un paio di ore dopo, all’uscita dallo stesso ristorante, gliene avevano fatto saltare un secondo. Senza contare le gomme dell’auto tagliate. Erano gli anni Settanta, gli anni d’oro dei paparazzi, i cui guadagni erano direttamente proporzionali alla loro aggressività. Lui lo era, più degli altri. Time Magazine lo aveva battezzato "The Godfather of the US Paparazzi Culture", il Padrino, ovviamente riferendosi alla sua italianità. Per due motivi. Il primo perché la pratica di rubare le immagini private dei divi dello spettacolo, era nata in Italia. Il termine paparazzo era di Fellini e si richiamava al fotografo che nella Dolce vita accompagnava Marcello Mastroianni. Poi si estese a quanti, come fastidiosi e instancabili mosconi, andavano su e giù per via Veneto a caccia di immagini proibite. Qualche nome: Tazio Secchiaroli, Marcello Geppetti, Elio Sorci, Ezio Vitale, Lino Nanni. In secondo luogo Time si richiamava alle origini di Ron. Il padre Vincenzo e la madre Michelina immigrati negli anni Venti dal sud d’Italia. Lui faceva alternativamente pianoforti e bare, più bare che pianoforti. Lei collanine e braccialetti di stoffa e pietre. Il figlio aveva la passione per la fotografia e in qualche maniera ...
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