Enrico Brignano: "Mia moglie Flora? L’ho conquistata con le battute"

L’infanzia, Gigi Proietti, l’amore: il comico romano a tutto campo. "Da bimbo ero magrissimo, giocavo in strada con le lucertole"

Enrico Brignano con la moglie Flora Canto (Ansa)

Enrico Brignano con la moglie Flora Canto (Ansa)

Enrico Brignano, lei, anzi tu (spiegherò dopo) sei fresco fresco di matrimonio, appena tornato dal viaggio di nozze. Ti senti diverso?

"In realtà io e Flora (Canto, ndr) eravamo già sposati, all’atto pratico è cambiato poco, più che altro abbiamo pensato al futuro dei nostri figli. Lei era al primo matrimonio, c’è un video in cui non trattiene l’emozione quando mi vede con Niccolò in braccio e Martina al mio fianco".

Eppure in un’intervista del 2021 dicesti che non ti saresti sposato "neanche se la Lazio vincesse lo scudetto"...

"Forse ero ubriaco, più probabilmente non ho mai detto niente del genere".

Come hai fatto colpo su Flora?

"Facendola ridere. Sul palco lei faceva ridere me e io lei. Ma, facendo lo stesso mestiere, a letto si porta qualche complicazione di più. Se fai due mestieri diversi quello che racconti della giornata è nuovo, invece parlare della stessa cosa sa di vecchio".

Stai per iniziare un tour dal titolo ‘Ma... Diamoci del tu!’ (ecco spiegato). Perché questa scelta?

"Ormai si fa tutto al telefono e al telefono ci si dà del lei, spesso per ragioni contrattuali. Invece su Facebook, su Instagram e anche di persona, ormai ci si dà del tu a sproposito, senza rispetto. Io invece dico “diamoci del tu“ per esprimere un’esigenza di contatto dopo che, per due anni, siamo stati lontani l’uno dagli altri. È un’esigenza affettiva. Ancora non riusciamo ad abbracciarci, in alcuni casi nemmeno a stringerci le mani. Vale per tutti tranne che per i tifosi, che vanno allo stadio seminudi: senza mascherina, ma nemmeno senza vestiti. E, se si mettono la mascherina, è per rompere qualche vetrata. Il mio ‘tu’ è un modo per abbassare le difese, per provare a diventare amici".

Nello spettacolo parlerai anche di altro...

"Io sono di borgata, ai miei tempi per fare colpo su una ragazza la portavi in centro a Roma, era un viaggio mistico ma anche culturale. Erano i primi approcci sentimentali, in sottofondo Radio Maria, l’unica emittente che prendeva la mia autoradio, illustravo le bellezze di Roma ma sbagliavo nomi, date, tutto. Allora si argomentava per ore e ore solo per un bacio, figuriamoci per riuscire a spogliarla. Oggi le ragazze sono più disponibili, anzi in alcuni casi sono loro a fare il primo passo. Oggi si chiede all’uomo una capacità diversa di convincere una ragazza. Oggi basta un hashtag. Basta un tatuaggio per capire di che segno sei. Allora c’erano le compagnie, le canzoni, i lenti alle feste... Allora le ragazze di buona famiglia tornavano per cena, oggi a 16 anni tornano, se tornano, alle 3-4 di notte. O magari si fermano a dormire dal fidanzato".

Il tuo primo incontro con Gigi Proietti, che poi divenne il tuo maestro.

"Era l’inverno dell’86, facevo il militare a Pescara e lì frequentavo una scuola di recitazione. Proietti venne al Cineteatro Massimo con lo spettacolo Per amore e per diletto e ci fece la cortesia di riceverci in camerino. Ma il teatro era esaurito e non avevamo il biglietto. Alle 7 dovemmo andarcene. Ma io mi nascosi nel bagno per due ore e alle 9 guadagnai la platea, godendomi lo spettacolo. Ironia della vita, otto anni dopo interpretai quello stesso spettacolo". Com’era Brignano a dieci anni?

"Secco secco – anche se adesso è difficile crederlo – orecchie a sventola, vivace ma obbediente. Abitavo in borgata, giocavo per strada col filo di ferro, con pezzi di legno, con le lucertole, i bruchi, non mi era difficile incontrare galline e pecore. In casa aiutavo, apparecchiavo e sparecchiavo e lavoravo anche in negozio, da mio padre (fruttivendolo, ndr), allora non c’era il problema del lavoro minorile".

La sua peggiore gaffe sul palco?

"Una sera tra il pubblico c’era quello che credevo un disturbatore, l’ho redarguito parecchie volte prima di accorgermi che era un disabile, lasciato solo dal suo accompagnatore. Ho chiesto scusa. Spesso nei teatri i disabili vengono tenuti tutti insieme in un angolo, è una cosa che non mi piace, è un’ulteriore discriminazione. Invece dovrebbero confondersi tra la gente che sta bene e che potrebbe aiutarli a capire meglio lo spettacolo. Spesso invece mi sfogo con quelli che arrivano in ritardo, e che magari sono nelle prime file. Gli dico: “Eravamo preoccupati, dove siete stati? Abbiamo telefonato a casa e ci hanno detto che eravate già usciti...“". Quando è stata l’ultima volta che ti sei arrabbiato?

"Due giorni fa, ho visto uno che spezzava il tergicristallo a un’auto parcheggiata male. Gli ho detto che non era il caso".

Il rimpianto più grosso?

"Non essere riuscito a mettere su famiglia in tempo prima che mio padre se ne andasse".

Suo padre era nato a Tunisi... "Allora erano gli italiani che emigravano là in cerca di lavoro, oggi è il contrario. Oggi emigrano solo i pensionati. Ma con l’avvento di Bourghiba tutti gli stranieri vennero osteggiati e mio padre rientrò in Italia, a Roma. Era siciliano ma col tempo imparò il romanesco".

Qual è il suo momento preferito della giornata?

"Alla sera, quando i bimbi sono letto, mi metto sul divano con Flora a guardare un film".

Ultima pellicola vista?

"Tredici vite, la storia di quei ragazzi intrappolati in una grotta in Thailandia. È vera, quindi molto interessante".

 

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