Einstein vale un tesoro. Ma è tutto relativo

I diritti sul nome e sull’immagine del fisico garantiscono 12 milioni di dollari all’anno all’Università Ebraica di Gerusalemme. Ed è polemica

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di Silvia Gigli

Immaginate per un istante che gli eredi del Che ingaggiassero una battaglia legale di portata mondiale sui diritti d’immagine del loro congiunto. Sarebbe il caos, visto che quel volto è praticamente ovunque, dai poster alle borsette. Ecco, una cosa del genere è successa invece per l’immagine di un’altra straordinaria icona del Novecento. Avete presente Albert Einstein? Il padre della teoria della relatività oggi sarebbe sicuramente fuori dai gangheri scoprendo che da anni si sta ampiamente lucrando sulla sua immagine. Una delle sue foto più famose fu scattata il 14 marzo del 1951 per il suo settantaduesimp compleanno. È la celebre linguaccia. Ebbene, chiunque la voglia usare deve sborsare fior di quattrini.

Einstein fu sempre attento all’uso che veniva fatto del suo nome e della sua immagine. Vari decenni dopo la sua morte (18 aprile del 1955) lo sfruttamento della sua immagine è invece al centro di un polverone. E, come ha raccontato The Guardian, lui non ne sarebbe contento. Anzi. Se nel suo testamento chiarì che tutti i suoi manoscritti, le pubblicazioni e i diritti d’autore dovessero essere riconosciuti alla segretaria Helen Dukas e alla figliastra Margot Einstein, e che alla loro morte sarebbero passati all’Università Ebraica di Gerusalemme, non lasciò però indicazioni su come dovesse essere gestita la sua immagine dopo la morte. E qui si insinua il diavolo. Ovvero Roger Richman, avvocato americano specializzato nella gestione dei diritti delle celebrità morte, da Bela Lugosi a Marilyn.

Nel 1984 Richman decise di occuparsi anche del celebre scienziato. Raccolse pubblicità, foto di prodotti e articoli di giornale che raffiguravano Einstein, mandandoli all’esecutore testamentario dello scienziato per "prevenire questi abusi". L’uomo inoltrò il materiale all’Università Ebraica, che, annusato l’affare, nominò subito Richman "agente esclusivo mondiale" di Einstein. L’università cominciò così a incassare una commissione del 65% su ogni contratto e metà delle somme ottenute in caso di vittoria nelle cause legali. Per Richman e l’Università Ebraica era un diritto legale e un dovere morale. Macché profitto, solo cura della memoria. E siccome Einstein, guardacaso, morì in New Jersey, dove non esiste una legge che stabilisce la durata dei diritti relativi all’immagine di un defunto, Richman convinse l’Università a depositare il marchio registrato “Albert Einstein” per quasi 200 prodotti tra cui ombrelli, giocattoli e decorazioni.

Nel 1997 Apple pagò 600mila dollari per utilizzare una foto di Einstein con lo slogan “Think different”, mentre nel 2005 la Walt Disney Company spese più di 2,5 milioni di dollari per una licenza di 50 anni che le dava il diritto di chiamare “Baby Einstein” una linea di libri e Dvd. Molte aziende che hanno utilizzato la faccia di Einstein su T-shirt o poster, libri o altro senza l’autorizzazione hanno dovuto affrontare lunghe e onerose cause. Albert è comparso per 12 anni consecutivi – fino a oggi – nella classifica di Forbes dei personaggi famosi non più in vita più ricchi, con una media di 12,5 milioni di dollari guadagnati ogni anno. L’Università Ebraica di Gerusalemme avrebbe incassato circa 250 milioni di dollari con i diritti associati a Einstein.

Un affronto alla sua memoria? Lo sostengono in molti e persino – per paradosso – Ze’ev Rosenkranz, storico e curatore dell’archivio di Einstein della stessa Università: intervistato dal Guardian, Rosenkranz prima sostiene che il fisico sarebbe stato sarebbe stato contento di sapere che l’università si è potuta finanziare attraverso la sua immagine; poi però, riferendosi soprattutto alla questione della mercificazione conclude che "probabilmente gli avrebbe dato fastidio. No, non sono sicuro che ne sarebbe stato contento". Nel 2011 anche la nipote adottiva di Einstein, Evelyn, ha citato in giudizio l’Università Ebraica, dicendosi "offesa" dal fatto che l’istituto avesse guadagnato milioni sulla pelle del nonno. La figlia del secondo figlio di Einstein (Hans Albert), propose all’università di trovare un accordo per potersi permettere le proprie spese mediche; morì pochi mesi dopo, a 70 anni, prima di poter arrivare in tribunale. E intanto le casse, a Gerusalemme, continuano a gonfiarsi grazie al fotogenico nonno Albert.

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