
Il regista perseguitato dal regime trionfa con “Un simple accident“. La giornata sulla Croisette sconvolta da ore di blackout. Poi il galà. .
"Voglio chiedere una cosa a tutti gli iraniani che vivono in Iran e nel mondo. Mettiamo da parte tutte le differenze, i problemi: la cosa più importante è il nostro paese, la libertà del nostro paese. Che si arrivi al momento in cui nessuno osi dirci che cosa dobbiamo metterci, che cosa non dobbiamo dire, che cosa non dobbiamo fare". È un discorso potente, coraggioso, quello di Jafar Panahi. Con la voce calma, senza gesti eclatanti. Ha appena vinto la Palma d’oro a Cannes, dopo quasi vent’anni di un calvario incredibile. E indirizza questo discorso a tutta la società iraniana, e a un regime che lo ha perseguitato per anni.
Panahi, 64 anni, trionfa con Un simple accident (in Italia con Lucky Red). è uno dei pochissimi – tra cui Antonioni – ad avere fatto il triplete: Venezia, Berlino e ora Cannes. Ora trionfa al festival che lo aveva celebrato già al suo esordio, con la Caméra d’or per Il palloncino bianco, e che per anni ha riservato, per lui, una poltrona vuota. Lui era in carcere, impossibilitato a lasciare il suo paese. È, questa, la sua prima apparizione a un festival internazionale, dal 2009. Trionfa, e con la voce quieta invoca un futuro nuovo per l’Iran. Un futuro in cui non sia più possibile uccidere qualcuno perché non porta il velo, come è accaduto nel 2022 con la studentessa Mahsa Amini. L’Iran lo ha condannato più volte. Nella prigione di Evin è stato interrogato, con una benda sugli occhi, per otto ore al giorno. Eppure, lui in Iran vuole tornare: "Non ci penso affatto a espatriare", ha detto. "Tutti gli iraniani compiono ogni giorno gesti sovversivi per il regime, pensiamo alle donne che camminano in strada senza velo. Non nego il pericolo, ma non c’è altro che possa fare".
Il giorno della Palma d’oro è stato anche quello di un inatteso ed enorme blackout a Cannes e dintorni, ieri, con 160mila case senza luce, negozi e servizi chiusi. Black out di origine dolosa, che ha fatto temere anche per la cerimonia di consegna dei premi. Poi sono entrati in funzione i generatori di emergenza, e la serata si è svolta senza problemi. Del black out non c’è traccia nella cerimonia finale. C’è, invece, la luce nello sguardo di Juliette Binoche, presidente di giuria, che dice: "L’arte provoca, sconvolge, trasforma le tenebre in perdono, in speranza, in vita nuova. Ecco perché abbiamo scelto di premiare Un simple accident di Panahi".
Tenebre che si trasformano in speranza. C’è anche quello nel film di Panahi, girato clandestinamente, come i suoi precedenti, e che racconta di un torturatore riconosciuto da un gruppo di persone che erano state sue vittime in carcere. Per la prima volta, un film iraniano mostra una donna in strada senza il velo. "È quello che ho visto quando mi portavano in ospedale dal carcere: nelle strade ora c’erano donne senza il velo", ha detto Panahi. Che in conferenza stampa ha aggiunto: "Quando ho ricevuto la Palma ho pensato a tutti i miei amici in prigione, ho visto i loro volti nella mia testa". E ancora: "Nessun potere può fermare il cammino dei miei colleghi registi".
Il cineasta danese Joachim Trier vince il Gran premio della giuria con Sentimental Value, e dice: "Il cinema è un linguaggio internazionale che unisce le persone. E in questo periodo tormentato, Cannes è la cattedrale dell’arte delle immagini. Un’arte che ci permette di avvicinarci agli altri con la compassione e l’empatia". Chiama Cannes "cattedrale del cinema" anche il regista brasiliano Kleber Mendoça Filho, che ottiene il premio della regia con L’agente segreto, ambientato negli anni ‘70 della dittatura brasiliana e anche quello per il migliore attore Wagner Moura. Vince il premio per la migliore interpretazione femminile Nadia Melliti, esordiente francese, protagonista del film La Petite Dernière di Hafsia Herzi. Interpreta Fatima, giovane musulmana che vive un conflitto fra la sua fede e la sua identità sessuale, scoprendosi lesbica. Premio della giuria ex aequo a Sirât di Oliver Laxe e a Sound of Falling della regista tedesca Mascha Shilinski, su quattro ragazze che subiscono violenze fisiche e psicologiche in quattro periodi diversi: "Dedico il premio a tutte le vittime, e a tutte le donne, affinché non rinuncino mai ai loro progetti".
Italia a mani vuote con l’unico film in concorso, Fuori di Mario Martone, che però sta vivendo un incoraggiante successo di pubblico nelle sale italiane, superando i 100mila euro al debutto. Premio premio alla sceneggiatura a due leggende del cinema d’autore, i fratelli Dardenne, già vincitori per due volte della Palma d’oro, con Jeunes mères: hanno ricordato che "senza attrici e attori, non c’è film" e hanno dedicato il premio alle loro cinque giovani protagoniste.