Mercoledì 24 Aprile 2024

E i tedeschi si trovavano come le star (al Paris Bar)

A Berlino chiude il locale che ha fatto storia: ha accolto politici e rocker, Madonna e Lollobrigida, e i grandi artisti da Baselitz a Hirst

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di Roberto

Giardina

Chiude il Paris Bar a Berlino, sarebbe come se chiudesse il Café de Flore o il Lipp a Parigi. Il ristorante, al 152 della Kantstrasse, è stato per oltre quarant’anni il punto d’incontro di artisti, scrittori, giornalisti e politici, prima e dopo il “muro”. Era sopravvissuto a un processo per evasione fiscale, e al fallimento, per risorgere grazie al patron e fondatore Michael Würthle, 78 anni. Ma oggi, dopo la diagnosi di un cancro alla gola incurabile, è costretto a abbandonare. Ma, dichiara, la sua non è una resa. La Berlino dei suoi tempi è cambiata. Il Paris Bar, nel bene e nel male, fa parte della storia di Berlino, forse sarà riaperto, ma sarà un’altra cosa.

Nel ’79 Würthle rilevò il vecchio Paris Bar con un socio, e lo trasformò in un bistrot, dove offriva cucina francese, champagne, buoni vini, ostriche, l’unico posto dove si potesse pranzare e cenare bene nella metropoli divisa, insieme con l’italiano “Bacco”, del toscano Massimo Mannozzi, aperto nel mitico ’68. La Kantstrasse non è il Boulevard Saint Germain, e il quartiere di Charlottenburg non è il quartiere latino. Würthle volle porre all’ingresso la scritta “Passant sois moderne”, passante sii moderno, che suona nostalgica un po’provinciale nella Berlino di oggi.

Il Paris Bar è vicino alla stazione dello Zoo, quella dei ragazzi drogati del romanzo di Christiane F., una zona dove non era piacevole andare a passeggio. In fondo alla strada sull’altro lato, nella Stuttgarterplatz negli anni Sessanta, si trovava la Kommune N. 1, quella dei giovani ribelli. La loro foto, nudi di spalle, e un bambino che si volta a guardare verso l’obiettivo, è una delle icone del XX Secolo, il simbolo di una rivolta. Alcuni di quei giovani finirono nella lotta armata della Baader-Neinhof. Una comune del libero amore, e l’ospite più bella, la fotomodella Uschi Obermaier apparve sulle copertine di tutte le riviste di moda, oggi a 75 anni vive a Los Angeles.

Würthle pretende che i camerieri parlino francese, e le ordinazioni in cucina siano gridate come a Pigalle, tutto fa atmosfera. Il patron non è mai stato politically correct, e i suoi fedeli camerieri, amici più che dipendenti, sono tutti uomini, tranne una ragazza che resisté per pochi mesi. Prima di abbandonare, ha curato la pubblicazione di un libro di memorie Paris Bar Press Confidential, 792 pagine, 75 euro, riccamente illustrato, foto, disegni e le riproduzioni dei quadri che coprono le pareti del locale, croste e capolavori, Würthle non fa differenza, opere degli artisti suoi amici, spesso dati in pagamento al posto del conto.

Il viennese Würthle non ha mai spesso di disegnare e dipingere. Negli anni Venti, il nonno possedeva una delle più note gallerie a Vienna, il padre era diplomatico, e a sedici anni lo condusse a Bonn dove era addetto culturale. Sogna che il figlio diventi un grande artista, Michael non ha voglia di seguire studi regolari all’accademia di Colonia, se ne va all’avventura in Italia, dove è nata sua madre. Nel 1970, studente d’arte e senza un soldo, giunse a Berlino, per andare a trovare un amico, Oswald Wiener. "Dovevo restare cinque giorni , sono rimasto tutta la vita". Rileva un locale, l’”Exil”, nome fatidico, a Kreuzberg il quartiere dei turchi, grazie a Josef Beuys, amico di Donald, che vende una scultura per finanziare il progetto. Uno dei primi clienti sarà Otto Schily, l’avvocato dei terroristi, l’unico difensore che non finirà in galera per complicità, Schily, che diventerà ministro degi Interni nel ’98, sarà un ospite abituale al Paris Bar, anche se preferisce il Brunello di Montalcino, e ha una casa nel Chianti.

I posti sono appena 120, sempre occupati, finché non è arrivato il Covid. I tavoli sono quelli in legno dipinto di nero di mezzo secolo fa, comprati dal vecchio gestore per cinque Deutsche Mark l’uno, circa mille lire al cambio del tempo. Würthle non ha mai voluto coprirli con tovaglie. Ha accolto Andy Warhol e Madonna, Gina Lollobrigida e David Bowie, Rainer Werner Fassbinder, Jack Nicholson, Robert De Niro, Günter Grass e Hans Magnus Enzesbergernaas, ma ha sempre preferito i suoi artisti, celebri o no, da David Richter a Georg Baselitz, Rauschenberg o Damien Hirst.

Una sera, arriva lo sconosciuto Martin Kippenberger. Non ha soldi e salda il conto con uno schizzo. Continua a pagare con le sue tele, che il patron appende in un angolo di fianco alla toilette. Martin dipinge una tela enorme del Paris Bar, con i suoi clienti famosi. Würthle l’ha venduta nel 2009 per due milioni e mezzo di sterline, per pagare i debiti. Alla parete è sempre appesa una tela di Daniel Richter, ma è una copia, l’originale si trova alla galleria Saatchi a Londra. Nel 2005, al Paris Bar giunsero gli ispettori del fisco, e denunciarono Würthle per evasione, e per aver pagato al nero i 50 dipendenti, dimenticando i contributi. Nel 2011, è stato condannato a risarcire 2,9 milioni di euro, e a due anni di prigione con la condizionale. Il giudice è stato benevolo: "È un vecchio signore sopraffatto dalla gestione dei conti, e che ha contribuito alla vita culturale della città". Würthle è costretto a dichiarare fallimento. I nuovi proprietari lo assumono perché resti al suo posto. È lui l’anima del Paris Bar.

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