Mercoledì 24 Aprile 2024

E gli italiani d’Argentina esportarono il calcio

Dal Boca Juniors al San Lorenzo: le squadre fondate dai nostri emigranti. Fra Cesarini e Messi, storie di campioni dei due mondi

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di Piero

Degli Antoni

Si dice che il Campionato europeo di calcio, che l’Italia ha appena vinto, sia la Coppa del Mondo meno Argentina e Brasile. In realtà, il calcio sudamericano è soltanto una costola di quello europeo. Perché furono gli europei, e soprattutto gli italiani, con le massicce emigrazioni dei primi Novecento – per la maggior parte da Liguria e Piemonte – a fondare le squadre oggi più famose e blasonate di quel continente. Boca Juniors, River Plate, San Lorenzo, Las Palmeiras, Penarol (prese il nome da Pinerolo), sono tutte società fondate dai nostri emigranti che, nostalgici, vollero recuperare le radici patrie. Un detto famoso è "Un argentino è un italiano che parla spagnolo ma pensa di essere inglese" e ben definisce gli emigranti di allora. Quando, all’inizio del Novecento, nacquero il Boca Juniors e il River Plate, Genova e Buenos Aires erano quasi un’unica città, distanti un oceano.

Da un lato e dall’altro dell’Atlantico le città si attrezzarono per sostenere il massiccio flusso di emigrazione: tra il 1882 e il 1927 quattro milioni di persone si spostarono da un continente all’altro. Gli italiani – soprattutto liguri, piemontesi e veneti – si installarono nella zona sud di Buenos Aires, appunto dalla Boca in giù. Un agglomerato di case di legno, paludi e acquitrini. Negli anni Trenta del Novecento gli italiani superavano, per numero, gli emigranti degli altri Paesi e i nativi messi insieme. Decimata la popolazione indigena, l’Argentina cominciò a considerarsi una nazione bianca, cattolica, di cultura mediterranea, costretta a dividere i propri confini con i meticci brasiliani.

Buenos Aires si considerava la Parigi del Sudamerica. E proprio nel quartiere più povero di Buenos Aires nacque, il 3 aprile del 1905, il Boca Juniors, la cui sede sociale era una panchina di plaza Solìs. L’appellativo che i giocatori si diedero fu di “xeneizes“ (cioè genovesi), per il fatto che erano quasi tutti di origine ligure. Poiché per i colori sociali non riuscivano a mettersi d’accordo, il primo presidente di allora, Juan Rafael Brichetto, di chiare origini italiane, decise che sarebbero stati quelli della bandiera della prima nave a entrare in porto. Era svedese, col vessillo azzurro e la croce gialla. Quei colori sono rimasti fino a oggi. Dopo le partite, i giocatori avevano il loro ‘terzo tempo’ nelle bettole dove divoravano la ‘fugazza’ (cioè focaccia) e la ‘fainà’ (farinata) o pesce fritto, insomma cibi tipicamente liguri. In quegli stessi negozi si vendeva il giornale O Balilla in dialetto genovese.

Il River Plate, l’altra grande squadra argentina, nacque invece il 25 maggio 1901, nello stesso quartiere del Boca. Ma, a differenza dei cugini, il River poteva vantare un lignaggio più importante, tanto che i suoi giocatori vennero definiti i “millionarios“. I ragazzi del River, al contrario dei mocciosi del Boca, dopo gli allenamenti si riunivano ogni giorno a casa di uno dei finanziatori per un tè con i biscotti. Lo scontro tra le due squadre ha ancora oggi il sapore di un derby mondiale: il primo lo vinse il Boca per 2-1.

Anche il San Lorenzo, la squadra per cui tifa il Papa, ebbe origini italiane: a fondarlo fu un padre salesiano, don Lorenzo Massa, che ospitava le partite nel cortile dell’oratorio. Per chi volesse approfondire la storia della stretta correlazione calcistica tra Italia e Sudamerica consigliamo la lettura di Ahi, Sudamerica!, scritto da Marco Ferrari e appena pubblicato da Laterza.

Il flusso umano tra lo Stivale da una parte, e Argentina e Brasile dall’altra, avvenne nei due sensi: prima l’emigrazione da Liguria, Piemonte, e Veneto, quindi il ritorno in patria dei figli o dei nipoti, i famosi ‘oriundi’ che fecero grande il calcio italiano dagli anni Trenta in poi, fino ad arrivare a Messi (la cui famiglia è originaria di Recanati, e infatti da quel municipio a ogni votazione mandano al campione il certificato elettorale). Per esempio Renato Cesarini, da cui prende il nome la famosa “zona Cesarini“, quegli ultimi scampoli di partita in cui il centravanti venuto dall’Argentina e finito alla Juventus e in Nazionale segnava i gol decisivi.

Una dizione sgorgata il 13 dicembre 1931 nella partita Italia-Ungheria, quando segnò all’ultimo istante. Nato a Senigallia, portato a Buenos Aires a pochi mesi di vita, era tornato in Italia, a Genova, nel 1926. Alla Juventus si sottraeva alle ferree regole societarie che imponevano monastici ritiri: alla sera svestiva la tuta, indossava lo smoking e scappava nei locali notturni a godersi la bella vita, lo champagne, le donne e le carte. Aprì anche un suo locale notturno in piazza Castello. Gli orchestrali erano vestiti da gauchos e intonavano i tanghi di Gardel.

Europa e Sudamerica, una fratellanza fatta di nostalgia, tango, focaccia e molti indimenticabili campioni di calcio.

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