Giovedì 25 Aprile 2024

Dopo Hitler I complicati conti con il nazismo

Nel dopoguerra nelle due Germanie prevalse l’oblio. Poi il vento è cambiato, ma con molte esitazioni.

Dopo Hitler  I complicati conti  con il nazismo

Dopo Hitler I complicati conti con il nazismo

di Lorenzo Guadagnucci

Primo Levi diceva di non capire i tedeschi. Non solo gli aguzzini conosciuti ad Auschwitz, ma tutti i tedeschi suoi contemporanei: non comprendeva, l’ex deportato, perché furono così entusiasti o così accondiscendenti sotto il nazismo, e nemmeno comprese la tiepidezza mostrata nel dopoguerra di fronte ai crimini rivelati al mondo da quelli come lui, che alla Shoah erano sopravvissuti. Eppure circola ancora in Italia, patria del fascismo, l’idea che i tedeschi nel dopoguerra abbiano fatto davvero i conti col nazismo, meglio e più di quanto abbiamo fatto noi con il regime ventennale di sua eccellenza Benito Mussolini. Ma è davvero così?

A ripercorrere la storia post ‘45, come fa Tommaso Speccher nel suo libro La Germania sì che ha fatto i conti con il nazismo (Laterza), esplorando le varie dimensioni della cruciale questione, è più che lecito dubitarne. Il post ’45 tedesco è fatto soprattutto di silenzi, di rimozioni, di imbarazzi e solo in anni recenti il quadro d’insieme è cambiato e nuove consapevolezze si sono fatte strada. In sintesi, potremmo parafrasare il provocatorio titolo del libro e affermare che la Germania ha fatto poco, con fatica e tardivamente i conti col nazismo.

Certo, a guerra finita il paese era devastato, e il popolo tedesco sentiva gravare su di sé il giudizio del mondo per gli orrori del Terzo Reich, ma proprio per questo sarebbe stata necessaria un’operazione di verità e consapevolezza collettiva sui crimini nazisti e sul consenso che aveva sorretto il regime; sarebbe stato l’avvio di una rinascita morale. E invece, passato il processo di Norimberga, con le condanne a morte e le esecuzioni dei maggiori gerarchi sopravvissuti al disastro bellico, calò un silenzio generale sui dodici anni del nazismo. Le due Germanie nacquero sulle macerie del mancato “Reich millenario” mettendo fra parentesi il recente passato.

A est, la Germania comunista, nel dichiararsi strutturalmente antifascista, nemmeno affrontò la questione; la Germania federale, dal canto suo, si costituì senza procedere a significative epurazioni del personale burocratico compromesso col nazismo e così dentro polizia, magistratura, università, apparati ministeriali rimasero per i decenni a venire gli stessi funzionari e dirigenti del periodo hitleriano.

Fu un’ipoteca fatale, quasi un incantesimo, che nemmeno alcuni eventi importanti, come i processi per Auschwitz nei primi anni ‘60, o figure simbolo come il magistrato Fritz Bauer e il borgomastro di Berlino e poi cancelliere Willy Brandt – protagonista del famoso inginocchiamento nell’ex Ghetto di Varsavia nel 1970 – riuscirono davvero a spezzare.

Solo negli anni ‘70 e ‘80, quando le nuove generazioni cominciarono a prendere la parola, chiedendo conto ai propri genitori e nonni della loro condotta durante il nazismo, una nuova visione della storia e della memoria cominciò a prendere forma. Ma non era ancora qualcosa che possiamo definire “fare davvero i conti con il nazismo”. Speccher ricorda che il cancelliere Helmut Kohl, ancora a metà degli ‘80, pensò di istituire alla Neue Wache, edificio ottocentesco nel cuore di Berlino, un monumento genericamente “dedicato a tutte le vittime delle guerre e delle sofferenze da esse provocate”. Niente di più. Si strizzava ancora l’occhio alla tesi del popolo tedesco tradito dai gerarchi nazisti e quindi incolpevole.

Di lì a poco sarebbe però cresciuta e si sarebbe affermata l’onda ormai in divenire, quella che ha portato a collocare alla Porta di Brandeburgo a Berlino il grande memoriale sullo sterminio degli ebrei in Europa e a riformulare – ma siamo ormai negli anni ‘90 e Duemila – l’identità tedesca sulla base di una piena consapevolezza delle colpe storiche della Germania. Tuttavia non mancano ancora oggi contraddizioni e problemi aperti: basti pensare al rifiuto opposto dalla magistratura tedesca all’esecuzione delle condanne inflitte in Italia agli ex militari responsabili delle principali stragi avvenute durante la seconda guerra mondiale o all’ascesa di nuove forze politiche di ispirazione nazionalista e neonazista.

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