Donna e uomo: a Lady l’Oscar della libertà

Nato in Giappone mezzo secolo fa e arrivato in tv in Italia nel 1982, il cartone animato è diventato oggi un’icona del gender fluid

Lady Oscar: nata femmina, allevata come un maschio destinato alla vita militare

Lady Oscar: nata femmina, allevata come un maschio destinato alla vita militare

Lunghi capelli biondi, perennemente mossi dal vento. Occhi grandi e celesti, simbolo di quella trasparenza d’animo che il destino le ha negato. Lunghe ciglia che ombreggiano di malinconia ogni sguardo. E un sorriso a metà, che a volte sfocia in risate e altre maschera le sue inquietudini. Lady Oscar è bella e forte, nel temperamento e nella dignità. Lady Oscar è da sempre un’icona genderfluid, quando ancora certi temi non venivano affrontati. Sicuramente è un’eroina e la sua storia un "inno all’amore universale, senza distinzioni" come ha ora sostenuto Cristina D’Avena che ha intonato la sigla del celebre cartone animato giapponese durante la festa di Fratelli d’Italia, mettendo a tacere le polemiche (sterili) che erano nate sulla sua presenza alla corte di Giorgia Meloni visto che la cantante da sempre è una paladina dei diritti civili e molto amata dalla comunità Lgbt.

"Il buon padre voleva un maschietto ma ahimè sei nata tu" recita la sigla italiana del cartone animato incentrato sull’eroina fuori dagli schemi fin dalla sua nascita, venuta al mondo femmina ma cresciuta come un maschio: un fioretto già nella culla e la carriera da moschettiere in difesa della regina Maria Antonietta. Il cartone animato è tratto da Le rose di Versailles, un manga scritto e disegnato da Riyoko Ikeda a partire dal 1972, la cui trama è ispirata alla biografia Maria Antonietta - Una vita involontariamente eroica scritta da quel genio di Stefan Zweig nel ’32, che narra la vita della regina Maria Antonietta dall’arrivo in Francia fino alla sua morte. A lei si affianca il personaggio immaginario Oscar François de Jarjayes – Lady Oscar –, la sesta figlia femmina del generale François Augustin Reynier de Jarjayes. Il padre dall’atteggiamento fin troppo severo, stanco di non avere una discendenza, decide di crescere la figlia come se fosse un maschio, addestrandola all’uso delle armi e la preparandola alla vita militare. Questa educazione è così impregnante nella vita di Lady Oscar tanto da indurla a credere fino all’età di sei anni di essere un maschio.

Il manga – arrivato in tv in Italia nell’82 – uscì in Giappone negli anni ’70, quindi in un’epoca ancora vergine a dibattiti sul gender, un’epoca in cui ancora non si "problematizzava" la questione di genere. Eppure, il manga crea un’eroina che incarna appieno problematiche di un’attualità – fors’anche di un’atavica profondità – disarmante. Oscar è stata educata come un uomo e quindi come tale gode di privilegi che altre donne non hanno, ma allo stesso tempo sperimenta la sofferenza della confusione dell’identità. Una delle scene più famose dell’anime vede Oscar affermare di voler ritrovare la sua identità di uomo e il suo amico fraterno André le dice una tremenda verità: "Una rosa non potrà mai essere un lillà", ovvero, sei nata donna, devi conviverci. Ma Oscar nella sua confusione trionfa, anche quando si mette in discussione, anche e soprattutto quando comprende come e se deve essere se stessa.

A Lady Oscar non sembra importare mai, minimamente, se alla fine si sentirà uomo o donna, quanto il suo carattere, la sua personalità, tutti aspetti che riguardano la sua unicità e fuggono da stereotipi e etichette. Il personaggio ha demolito la credenza pregiudiziale attorno all’idea della donna e del suo ruolo e ha costruito una donna nuova, secondo la sua autocoscienza, autonomia e autodeterminazione: sebbene le siano stati inculcati modi e attitudini ritenuti maschili, non ha rinnegato una volta adulta il suo essere donna e il poterli praticare in quanto tale, rivendicando volontariamente o meno il diritto di farlo pur non essendo uomo. Vale a dire che al centro della sua vita c’è solo lei, con il suo mondo interiore, le idee, le sue aspirazioni e le sue scelte.

Oscar in pratica ci insegna come essere donna o essere uomo non sia una condizione già stabilita, e soprattutto aderente al sesso biologico: lei è riuscita a costruire un’identità sua, fluida, non categorizzabile e va bene così. Da mezzo secolo, e oltre.