Mercoledì 24 Aprile 2024

Divorzio al cinema: i film anticiparono la legge

Entrò in vigore 50 anni fa e sanava una ferita mostrata più volte sul grande schermo. Le pellicole di Germi e quelle di Bolognini, Taviani e Sordi

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Era il 1970, l’anno di Italia-Germania 4-3, dei pugnetti al cielo di Gianni Rivera. Era il 1970 quando in Italia fu approvata la legge sul divorzio. In ritardo rispetto agli altri paesi europei: e ugualmente, non fu una passeggiata. Di divorzio si era cominciato a discutere in Parlamento già nel 1958: si parlava di "piccolo divorzio", in casi estremi come il "tentato omicidio da parte del coniuge"! Si tornò a parlarne nel 1965. Altri anni di dibattito, e l’1 dicembre 1970 la legge viene approvata. Esattamente cinquant’anni fa. Non era finita. Si pensò subito a un voto popolare per abrogarla. E nel 1974 un referendum, il primo della storia della Repubblica, chiamò gli italiani a decidere. Dibattito furibondo, ovunque: alla fine gli italiani si tennero stretta la legge.

In tutto questo, il cinema c’entra qualcosa. Non solo perché, fino a quel momento, i divorzi sembravano stravaganze da attori hollywoodiani, curiosità sulle pagine delle riviste Gente e Oggi. Ma per un motivo più importante: perché il cinema italiano vide lungo, sull’argomento. Quasi dieci anni prima dell’approvazione della legge, nel 1961, un film scatenò nell’opinione pubblica una riflessione sul tema. Era la commedia di Pietro Germi Divorzio all’italiana, con Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli. Fu campione d’incassi, quell’anno.

La gente andò matta per quel film, che con sarcasmo e ironia raccontava un doppio anacronismo: l’assenza del divorzio, in Italia, e la sussistenza del delitto d’onore. Se uccidevi "per onore", te la cavavi con poco.

Nel film – che adatta il romanzo di Giovanni Arpino Un delitto d’onore, uscito appena l’anno prima – il barone Cefalù, Marcello Mastroianni, innamoratosi della cugina sedicenne, interpretata da una Stefania Sandrelli in fiore, s’inventa un modo diabolico per liberarsi della moglie. La induce a tradirlo, si fa riconoscere come ’cornuto’ da tutto il paese, sorprende la donna in flagrante adulterio: l’ammazza, e con l’attenuante del ’delitto d’onore’ trascorre un tempo risibile in carcere, per poi tornare in libertà e sposare Angela. Facile, no?

Il successo fu enorme: basti pensare che il suffisso ’all’italiana’ della nostra commedia fu rubato proprio al titolo del film. Ma il film, sotto le risate, puntava il dito su un paradosso: era più comodo ammazzare la moglie che separarsene.

Il film fu attaccato dalla stampa cattolica, finì nella lista nera del Centro cattolico cinematografico, che consigliava – o sconsigliava – i film ai credenti; fu stroncato da Famiglia cristiana, ebbe problemi con la censura. Ma il dibattito, nella società, era partito. Innescato non da un politico, ma da un film. E non fu l’unico film a riflettere sul tema, prima del Parlamento.

Nel 1960 era uscito Il bell’Antonio di Mauro Bolognini: ancora Marcello Mastroianni, ancora nobiluomo siciliano, ancora una bella donna – Claudia Cardinale – al suo fianco. Ma stavolta, il giovanotto è impotente, e il matrimonio viene annullato dalla Sacra Rota, il tribunale ecclesiastico, perché non consumato. L’unica possibilità allora concessa alla separazione.

Nel 1963, i fratelli Taviani dirigono I fuorilegge del matrimonio, con Ugo Tognazzi: "I fuorilegge del matrimonio sono milioni", dice il trailer dell’epoca. Quelli che si trovano, infelici e scontenti, dentro un matrimonio che non vogliono più. Ma all’epoca, appunto, il tradimento era più o meno tacitamente consentito; il divorzio no.

Nel 1966, Alberto Sordi dirige e interpreta Scusi, lei è favorevole o contrario?, immaginate voi a che cosa. Insomma, la commedia all’italiana è stata una grande laboratorio di idee, un termometro della società, e in alcuni casi anche uno sguardo lungo verso le trasformazioni del costume. Poi, verrà Hollywood a raccontarci i ’suoi’ divorzi, e anche il cinema degli altri mondi, da Israele all’Iran.

 

 

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