Giornata della Memoria, dipingere ad Auschwitz: l’arte di resistere

I prigionieri dei campi nazisti realizzarono clandestinamente migliaia di opere fra ritratti, autoritratti, scene di vita (e morte) quotidiana

Auschwitz: l’autoritratto di Peter Edel e. il “Lagermuseum“ di Mieczyslaw Koscielniak

Auschwitz: l’autoritratto di Peter Edel e. il “Lagermuseum“ di Mieczyslaw Koscielniak

Zoran Mušić, deportato a Buchenwald alla fine del ‘44, dipinse nel Lager corpi sfiancati, volti scavati e allucinati, cadaveri allineati a terra, usando ciò che trovava, anche ruggine grattata dalle sbarre della sua cella. Altri artisti prigionieri nei Lager dipinsero scene di vita e di morte, la deportazione e poi molti ritratti e autoritratti usando i materiali più diversi: carta da pacchi, fogli di scarto, ma anche acquerelli e oli su tela come in qualunque atelier. Hanno lasciato testimonianze preziose dell’orrore toccato sotto il dominio nazista e anche il segno del valore profondamente umano dell’atto artistico: la pittura, in quel frangente, era un modo per sentirsi ancora persone e non “pezzi” (“stück“), secondo il gergo degli aguzzini.

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Si dipingeva clandestinamente e certe opere, come i fogli disegnati da un artista prigioniero di cui si conoscono solo le iniziali – MM – ritrovati dopo la guerra nelle fondamenta di una delle baracche di Auschwtiz, sono documenti storici ineguagliabili, come “fotografie” in presa diretta della lotta per la vita, della violenza e dell’annientamento nel campo più famigerato della storia: l’arrivo nei treni blindati, la selezione, le baracche, i forni crematori...

Ma l’arte, ad Auschwtiz, aveva anche uno statuto ufficiale. Il comandante Rudolf Höss un giorno, nella primavera del ‘41, soprese l’internato polacco Franciszek Targosz a disegnare all’interno di un laboratorio; anziché punirlo, si incuriosì e si fece convincere da Targosz, che parlava tedesco, ad allestire un museo all’interno del Lager, dove raccogliere gli oggetti d’arte e i beni preziosi sequestrati ai prigionieri all’arrivo nel campo e dove realizzare altre opere, impiegando gli artisti internati. Il Lagermuseum allestito nella baracca numero 24 era per Höss sia una vetrina per eventuali visitatori sia un laboratorio al quale commissionare opere d’arte da esibire, collezionare o regalare. Al pittore polacco Mieczyslaw Koscielniak si deve un’opera-documento eccezionale, un olio su tela dipinto nel ‘42, Interno del Lagermuseum, che mostra un altro internato, Jan Komski, mentre dipinge un suo quadro, Il Trovatore; sullo sfondo è visibile l’ambiente del Lagermuseum, fra bandiere, elmetti, monete, medaglie, una teca con una raccolta di disegni...

Alla vita artistica nei Lager nazisti è dedicato Drawing the Holocaust (Disegni dall’Olocausto), un documentario di Massimo Vincenzi, prodotto da Light History, in onda domani, nella Giornata della memoria, su Rai Storia: è una vicenda drammatica e commovente, il racconto della linfa vitale che animava una forma quasi invisibile, ma molto tangibile, di resistenza all’oppressione più feroce. "Presi da una sorta di furia – ha raccontato Auguste Favier, internato a Buchenwald – appena potevamo, carta e matita alla mano, barattati in cambio di una sigaretta o di una crosta di pane, riproducevamo gli scenari e i soggetti tipici del campo".

I ritratti e gli autoritratti erano fra i soggetti preferiti dell’arte clandestina nei Lager: il ritratto come prova d’esistenza in vita, nell’ipotesi che i disegni potessero uscire dal campo. Il ritratto come reazione al declassamento a sotto-umanità. Un internato, Peter Edel, dipinge un autoritratto doppio: in primo piano il prigioniero smagrito e malmesso, in casacca a righe, alle sue spalle l’uomo libero, in giacca e cravatta; il prigioniero stenta a riconoscersi, punta il dito su sé stesso e chiede: chi sei?, tu?, io? sì? La firma e la data alla base del disegno, “Peter Edel Auschwitz ‘44”, spiegano da sole la crisi di identità.

Vincenzi stima che fra Lager, ghetti e condizioni di clandestinità, fra ‘39 e ‘45 siano stati realizzati almeno trentamila disegni e quadri arrivati fino a noi. Un posto importante spetta alle opere realizzate dagli artisti “liberatori”, arrivati nei Lager con le truppe alleate. Sono stati autori di opere di grande valore artistico e documentale. Come i disegni di Corrado Cagli a Buchenwald o il terribile quadro di Leslie Cole sull’enorme fossa comune scavata a Bergen-Belsen per seppellire i cadaveri trovati al momento della liberazione.

Un capitolo a parte spetta alle opere realizzate dopo la guerra dagli ex internati, a cominciare dalla serie di David Olère, l’unico artista sopravvissuto che abbia fatto parte, a Birkenau, di un Sonderkommando (gli addetti alla gassazione e cremazione dei prigionieri). Cominciò a dipingere già nel maggio del ‘45 a Ebensee, dove fu portato dopo la liberazione: mise su carta ciò che gli occhi e la mente avevano registrato, dalla svestizione, all’apertura delle “docce”, alla cremazione.

L’arte come testimonianza, ma anche come àncora e via di salvezza. Le musiche di Drawing the Holocaust sono di un compositore appena ventunenne, Mattia Vlad Morleo: "Molti giovani della mia generazione – ha detto all’agenzia Redattore sociale – non sanno neppure perché si celebra la Giornata della memoria, c’è un vuoto. Penso quindi che ognuno di noi abbia un compito: sensibilizzare con racconti, immagini, video, film e musica è l’unico mezzo che abbiamo per far in modo di arginare il silenzio e quindi la possibilità di ritrovarci nuovamente in tali condizioni un giorno".