di Andrea Spinelli Innanzitutto il boato dei 57mila di San Siro per Charlie Watts, quando ieri è comparso sui maxischermi del Meazza dietro ai tamburi, anche se solo in filmato. Un cuore fuori tempo, vero e proprio insulto per un batterista, se l’è preso l’estate scorsa e il primo pensiero della maratona con cui i Rolling Stones sono tornati tra i sacri spalti di San Siro dopo diciassette anni è stato tutto per lui. Poi quella vibrante voce fuoricampo che annuncia "Ladies and Gentlemen… The Rolling Stones!" e l’esplosione dell’antica liturgia sugli accordi di una Street fighting man ammantata di rabbie lontane. Trent’anni fa Jagger la cantava lottando contro i suoi incubi, fameliche fiere (gonfiabili) che trafiggeva come il cavaliere senza macchia e senza paura di un’incisione di Albrecht Dürer, mentre oggi la rabbia è più mediata, intellettualizzata. Ma sarebbe forse un errore pensare evaporata via. E la visione umanistica dell’essere “faber fortunae suae”, dell’andare avanti superando qualsiasi ostacolo, compreso quello, apparentemente invalicabile, del male e del tempo, della decadenza, ben si adatta a uno come nonno Mick (79 anni il 26 luglio) che neppure il Covid è riuscito a fermare più di una settimana, come sanno bene i fan milanesi, rimasti col cuore in gola per giorni dopo il recentissimo slittamento forzato dei concerti di Amsterdam e Berna. Un rovescio che ha fatto rivivere in alcuni l’incubo del 1998, quando la band annullò la tappa a San Siro del Bridge to Babylon Tour la mattina stessa del concerto proprio a causa del frontman e di una laringite che tre giorni di iniezioni di cortisone non erano riusciti a debellare. Stavolta è andata bene, la tempra del rocker ha avuto la meglio sulla virulenza del morbo, liquidato senza troppe ansie in un video per i fan come uno "spiacevole inconveniente", e la ...
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