Depp o Spacey: se mi scandalizzi, ti cancello

I film di Johnny, accusato di molestie all’ex moglie, eliminati da Netflix. Ma va giudicata l’opera d’arte o il comportamento del suo creatore?

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"Sembra che abbiamo fatto pericolosamente ingresso in un tipo di totalitarismo che aborre la libertà d’opinione e punisce chi si rivela per quello che è davvero... Guardate l’opera d’arte, non l’artista – scrive Bret Easton Ellis nel suo pamphlet 2019 Bianco –. Dagli artisti probabilmente sarete delusi, limitatevi a prendere in considerazione l’arte, e lasciate che parli da sola". Da metà degli anni ’80 fino al primo tuffo nel mare miliardario della saga Disney dei Pirati dei Caraibi (5 film dal 2003 al 2017 idolatrati dai ragazzini), l’arte d’attore di Johnny Depp ha incantato, fonte d’ispirazione per le visioni più inquiete e stralunate di Tim Burton, eroe spietato e sconfitto del West in bianco e nero di Jarmusch, strepitosa incarnazione cicciona e pelata di Hunter S. Thompson sotto Lsd in Paura e delirio a Las Vegas di Terry Gilliam. Poi però gli è andata come sappiamo, molto male, e da ieri va anche peggio: dalle stelle allo stallo.

Dopo aver perso la causa per diffamazione contro il Sun, che lo aveva accusato di maltrattamenti dell’ex moglie Amber Heard, già cacciato dal set del nuovo Animali fantastici e annullata persino la microparticina simbolica nel prossimo Pirati, l’ex Divo Depp è stato ora rimosso dal catalogo americano e australiano di Netflix. Resta in quello italiano con Donnie Brasco, Secret Window, Black Mass, per ora. Tanto a ribadire la legge non scritta ma indubitabilmente in atto: l’opera d’arte (il film, maledetto, innocente, sublime che sia) risulta indissolubilmente connesso all’uomo, alla sua reputazione (se compromessa), ai suoi atti (se deprecabili). L’opera d’arte è connessa all’uomo artista.

Depp cancellato da Netflix, Spacey il reo confesso molestatore pedofilo cancellato dal film già girato Tutti i soldi del mondo di Ridley Scott. L’ultima opera del molestatore di figlia già assolto in tribunale ma sempre sotto accusa Woody Allen non distribuita nelle sale Usa (oddìo, non si son persi granché), il violentatore di minorenne Polanski fuori dall’Academy. Via libera alla Cancel Culture, la "cultura della cancellazione", al centro delle riflessioni di Ellis come della famosa lettera dei 150 intellettuali pubblicata da Harper’s Bazar a luglio. Un manifesto – firmato Atwood e Rowling – di chi negli Usa teme che l’ondata di rivendicazione di giustizia sociale pur motivata dalle migliori intenzioni, rischi di dare spazio a derive estremiste "che reprimono il dissenso, minando le fondamenta di una democrazia basata su dialogo e tolleranza". "Noi rifiutiamo ogni falsa scelta tra giustizia e libertà – hanno scritto i 150 – abbiamo bisogno di preservare la possibilità di essere in disaccordo con sincerità".

Chiamata in causa per la decapitazione delle statue Usa di Colombo, della Cancel Culture fanno parte non i cartelli "attenzione contenuti razzisti" che precedono la proiezione su Hbo di Via col vento, ma le petizioni al Met per la rimozione del dipinto Thérèse Dreaming di Balthus o l’appello della scrittrice inglese Farah Nayeri lanciato sul New York Times per "non mettere in mostra i quadri di Gauguin" per pedofilia sospetta o acclarata dei due pittori abbondantemente defunti, oltreché magistrali. Che fare allora con Lolita di Nabokov, e con l’Alice di Carroll?

A Hollywood, la questione è particolarmente spinosa: gli Studios si sono sempre autoregolamentati: con il codice “morale” Hays (1930 - anni ‘50) che vietava coppie interrazziali sullo schermo, emarginò (cancellò?) un’attrice da Oscar come la cinese Anna May Wong; sotto il maccartismo tolse (cancellò) il nome dai crediti e dagli Oscar di registi e sceneggiatori “comunisti” come Dmytryk e Trumbo. Ora, con il #MeToo e il Black Lives Matter, l’Academy si è sentita in dovere di varare l’applicazione di “quote” etniche e di genere per i film che vogliono concorrere all’Oscar. Un passo avanti?

"Trovo assurdo, da un punto di vista artistico, censurare Balthus o non andare a vedere Caravaggio perché è un assassino o non vedere un film di Polanski. Le regole dell’Academy? – dice lo scrittore Nicola Lagioia –. Va bene ogni regola produttiva, industriale, ma non artistica: se entra nello script è finita. È sbagliato il principio per cui solo un caucasico può parlare per un caucasico, un gay per un gay una donna per una donna. La letteratura è il contrario: è alterità. Sfido qualunque maschio a creare un maschio come l’Heathcliff della Bronte e qualunque donna a creare una donna come Madame Bovary di Flaubert. Uno scrittore, un artista, al suo meglio non ha sesso. O li ha tutti quanti".

 

 

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