Steven Spielberg lo chiamava Geppetto. "Perché mio padre riusciva a progettare e a realizzare tutto con enorme fantasia, unita a una sapienza artigianale che resta impareggiabile", sorride Daniela, figlia di Carlo Rambaldi, pioniere dell’animatronica e straordinario creatore di effetti speciali. Tre volte premio Oscar, Rambaldi (originario di Vigarano Mainarda, nel Ferrarese) è morto il 10 agosto 2012. E proprio 40 anni fa arrivava nelle sale il suo ‘figlio’ più amato, E.T. l’extraterrestre, il tenerissimo piccolo alieno dimenticato sulla Terra, che gli valse un Oscar. Daniela, nata a Roma, cresciuta a Los Angeles, ancora oggi vive fra Italia e California: è vicepresidente della fondazione dedicata al papà. Che ricordo ha di suo padre? "Fin da piccola mi ha colpito che fosse sempre intento a disegnare. Nella tasca della giacca teneva un blocco e una matita: anche se eravamo fuori a cena, si metteva a schizzare un viso o un meccanismo. Inseguiva le idee". E le piaceva vederlo creare? "Sì, però da piccola mi incuteva un po’ di timore. Lavorava in un seminterrato a Monteverde, e la mamma a volte mi accompagnava a salutarlo, ma non volevo entrare in quel laboratorio, pieno di manichini strani o teste mozzate. Avevo 5 anni... Mamma poi mi spiegò che era tutto finto". Poi lui vi portò tutti in America. "Nel 1975 Dino De Laurentiis lo chiamò a Hollywood per il kolossal su King Kong: venne realizzato il gorilla alto 12 metri, oltre ai dettagli come le braccia e il volto. Ogni movimento era studiato nei minimi particolari. Papà rimase lì un anno e noi lo raggiungemmo a Natale. Quando vinse l’Oscar per gli effetti speciali, si convinse che era il momento di fare il salto e trasferirsi a Los Angeles: lì c’erano budget più elevati". Come nacque E.T.? "Papà aveva già lavorato con Spielberg per ...
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