Venerdì 19 Aprile 2024

"Dall’Oscar all’opera, un’Amorosa presenza"

Nicola Piovani debutta nella lirica, a partire da un romanzo di Vincenzo Cerami. "Nessun’altra forma di spettacolo è così potente"

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di Stefano

Marchetti

La vita è bella, e anche l’opera lirica. Quella di Nicola Piovani, compositore da Oscar, è una carriera costellata di successi e collaborazioni illustri, soprattutto nel cinema, da Fellini a Benigni, da Monicelli a Moretti. Eppure, anche per lui, i debutti non finiscono mai: e così in queste sere, al teatro Verdi di Trieste, Piovani dirige la sua prima creazione operistica, Amorosa presenza, un’idea accarezzata da 45 anni, ovvero da quando Vincenzo Cerami diede alla luce l’omonimo romanzo: "Bussammo invano alla porta di qualche teatro italiano, forse con troppa timidezza, e il progetto rimase interrotto – racconta il compositore –. Finché, nei mesi scorsi, il teatro Verdi mi ha proposto di riprenderlo. Mi ci sono buttato a capofitto, insieme ad Aisha Cerami. Vincenzo era un poeta autentico, un grandissimo amico: sono felice che Amorosa presenza rappresenti fortemente la sua poetica".

L’opera racconta dell’amore impacciato fra due giovani, Orazio (interpretato da Giuseppe Tommaso) e Serena (Maria Rita Combattelli), che non hanno il coraggio di dichiararsi: perciò lui si traveste da donna per decantare se stesso all’amata, e lei fa altrettanto, indossando vesti maschili per parlare di sé al ragazzo dei suoi desideri. Davanti a un albero che scandisce le stagioni (nell’allestimento con la brillante regia di Chiara Muti) l’amore trionferà, con una sorpresa.

Maestro Piovani, cosa le fece pensare che quel soggetto potesse essere adatto a un’opera?

"La perfetta macchina teatrale del racconto. È un ingranaggio scenico del repertorio classico, calato in un tema molto attuale: la crisi della presenza, l’identità nascosta, l’anonimato che ci rende più audaci. Nel corteggiamento, spesso ognuno tende a interpretare un personaggio che possa essere gradito al corteggiato. Qui il travestimento di se stessi prende forme da teatro di favola, come un fumetto".

Ha definito Amorosa presenza un’opera "semiseria". Perché?

"Perché i sentimenti che racconta sono in parte narrati con ironia favolistica, in parte cantati con profonda convinzione lirica. Ho attinto alle forme classiche del teatro musicale proprio per assecondare questo gioco narrativo sul filo dell’andamento fumettistico. Un esempio: quando l’anziana tata racconta la sua unica storia d’amore, la partitura ricorre ad atmosfere che ricordano le romanze di Tosti, in voga nel primo ‘900".

Lei non si era mai cimentato con l’opera. Quali sono le differenze rispetto ad altri generi?

"Ci sono certe emozioni artistiche, certe empatie poetiche che solo il teatro d’opera sa dare. Il racconto cantato da una struttura teatrale complessa, le masse orchestrali e corali, le voci impostate: tutti strumenti in grado di portare lo spettatore in una zona emotiva potente, non naturalistica, alta, che non è consentita a nessun’altra forma di spettacolo".

Quando si parla di opera, si pensa perlopiù ai titoli della tradizione, a Verdi, Puccini, Rossini. Il linguaggio di oggi è diverso?

"Il teatro lirico è una lingua teatrale modernissima, in grado di raccontarci con forza il nostro presente. È linguaggio di oggi, come lo sono Shakespeare, Eschilo, Cechov, Bach, Stravinskij o Piazzolla. È un limite della nostra cultura aver dato all’opera una connotazione museale, arcaica e d’élite".

L’opera identifica l’Italia nel mondo. Eppure qui sembra interessare soprattutto un pubblico avanti con gli anni...

"Purtroppo sono i cattivi frutti di un’errata gestione del teatro lirico pubblico e di una cultura italiana che ha relegato l’opera a ruolo museale o agli eventi mondani delle prime, e non al pane quotidiano della cultura musicale e teatrale. Bisogna distinguere fra lusso e cultura".

Allora, come rendere l’opera più attraente per i giovani?

"Innanzitutto abbassando i prezzi dei biglietti. Si mantengano pure i prezzi altissimi per le prime, rassicurando la mondanità. Ma poi sarebbe bello che seguissero repliche a prezzi accessibili, e non solo nelle grandi città. Altrimenti il pubblico dell’opera tende a estinguersi".

Nel suo libro e nel suo concerto, lei ci ha detto che "la musica è pericolosa". È sempre così?

"In senso buono e gioioso sì, lo è sempre di più. Parlo della musica vera, quella ascoltata con attenzione. Invece quella consumistica, cioé quella diffusa nei supermercati, nei bar e in ogni dove, quella no, non è pericolosa: è solo fastidiosa".

E lei crea ancora le sue partiture “a mano“, con matita e gomma?

"Certo che sì. Penso una musica e inseguo un miraggio, con la carta pentagrammata davanti e la matita in bocca. E di recente – ride – ho fatto scorta di matite 2b, 4b rossoblu, di temperamatite. E pure di gomme".

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