Venerdì 19 Aprile 2024

Da Sagapò all’Oscar, il romanzo dimenticato

Settant’anni fa usciva il libro di Renzo Biasion che ispirò il film di Gabriele Salvatores “Mediterraneo“. Un riconoscimento tardivo

Una scena del film Mediterraneo

Una scena del film Mediterraneo

Compie settant’anni un romanzo che alla sua uscita entusiasmò Elio Vittorini, che curava la collana di letteratura “I gettoni“ dell’Einaudi, e che ha una storia legata al cinema molto particolare. Si intitola Sagapò, l’autore, Renzo Biasion, era un pittore trevisano che si cimentava per la seconda volta con la scrittura dopo Tempi bruciati (1948, edizioni della Meridiana): come il primo anche questo era una sorta di diario della guerra ch’egli aveva combattuto da tenente finendo in un avamposto a Creta (e poi in dure prigionie in Germania), una sorta di Armata Brancaleone: Sagapò in fondo è la contrazione di "s’agapo", in greco "ti amo".

Da quelle pagine poteva fin da subito nascere un film che è arrivato solo, e apocrifo, quasi quarant’anni dopo. Ed è stato un successo mondiale: Mediterraneo (1991) Oscar per il miglior film straniero nel ’92. Ma i suoi autori, lo sceneggiatore Enzo Monteleone e il regista Gabriele Salvatores, si “dimenticarono“ quella ispirazione e solo in un secondo tempo, dopo la rivolta di molti intellettuali, dovettero ammettere che quella meravigliosa trasposizione in pellicola doveva molto all’idea di Biasion e finalmente lo citarono nei crediti, facendo felice Renzo ormai settantottenne e malato, che accettò la rivincita morale ma non volle andare per tribunali, pur sapendo che avrebbe tirato su un bel gruzzolo: non se la sentiva di soffrire ancora dopo che aveva visto lui, tenente-pittore (il personaggio interpretato da Claudio Bigagli), e la sua storia diventare, non riconosciuta, un’altra cosa sul grande schermo.

Vittorini, tornando al 1953, sosteneva che la guerra era solo un pretesto in quel romanzo così profondo in cui Biasion (classe 1914) raccontava come quei soldati "si procurassero, dì là della realtà artificiosa imposta loro, quel minimo di realtà naturale che sempre un soldato (o chiunque si trovi in un analogo stato di coercizione) cerca di procurarsi per riuscire ad essere ancora un uomo e ad amare e soffrire umanamente, e avere fierezza d’uomo, umiltà d’uomo, illusioni d’uomo".

La vita cinematografica di Sagapò poteva davvero essere più rapida. Anna Magnani si innamorò del libro e comprò nel 1961 i diritti proponendo la produzione ad Alfredo Bini che mise in programma la realizzazione del film affidando la regia a Roberto Rossellini, compagno allora della Magnani, per un secondo capitolo sui reietti della guerra dopo il successo di Roma città aperta (1945). Ma il regista lasciò Anna per Ingrid Bergman abbandonando ogni progetto che non fosse legato all’attrice svedese. Bini non mollò a patto che a quel punto l’interprete femminile diventasse sua moglie, Rosanna Schiaffino. Le beghe private affossarono la realizzazione. Qualche anno dopo Moris Ergas, produttore greco, riacquistò i diritti: voleva definitivamente lanciare Sandra Milo, sua procace amante. Anche in questo caso la “vivacità“ dell’attrice innamoratasi di Federico Fellini e le difficoltà finanziare di Ergas fecero abortire il progetto. Sul quale si buttò Florestano Vancini, autore fra gli altri dell’iconico La lunga notte del ‘43. Anch’egli comprò i diritti, scrisse una sceneggiatura che avrebbe avuto forti scene di guerra, ma la sua casa di produzione, la Documento Film, fallì e il sogno si interruppe.

Renzo Biasion non se ne fece un cruccio, continuò il suo lavoro di pittore, giornalista, critico d’arte e docente in varie Accademie, fra Torino, Bologna e Firenze (dove è morto nel 1996), collaborando alla Gazzetta del Popolo e al Resto del Carlino, diventando poi firma di punta di Oggi, fino a che si abbatté su di lui il ciclone Mediterraneo. Racconta il figlio Giulio: "Molticritici dissero che le ispirazioni di Sagapò, riedito nel 2014, erano ben presenti nella pellicola. E alla fine anche Monteleone dovette arrendersi e dichiarare che per quella sceneggiatura “l’emozione è venuta dal romanzo del pittore Renzo Biasion“". La vittoria morale valse per l’artista ben più di ogni risarcimento economico. "Quel libro, comunque – dice il figlio -, gli aveva portato fortuna, soddisfazioni e successo". E ricordando la luce di Elunda, diventata Kastellorizo nel film, gli erano passati anche i dolori della guerra, della prigionia, di una vita forse meno nota di quella che lui meritasse.

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