Giovedì 18 Aprile 2024

Da Ortese a Tolstoj: letteratura per gli animali

Sguardi insoliti sulla natura: le “piccole persone“ della scrittrice, il rifiuto della caccia del grande russo, i gatti e i dialoghi della Morante

Migration

di Lorenzo Guadagnucci

Anna Maria Ortese aveva un’alta opinione degli animali: "Sono piccole persone mute – scriveva – un immenso popolo muto, e generalmente mite, ma senza un diritto al mondo, e di cui ciascuno può fare ciò che vuole, e lo fa, macchiando la terra di un solo interminabile delitto, per il quale non c’è mai un gastigo". L’immagine delle “piccole persone“ evocata dalla scrittrice morta nel 1998, autrice di romanzi e racconti importanti ma non troppo (non abbastanza) letti come Il mare non bagna Napoli, Il cardillo addolorato, L’Iguana, è fra le più potenti consegnate alla letteratura circa la condizione animale. La Ortese era un’irriconciliabile, una donna e una scrittrice inadatta allo status quo, una cercatrice di senso per la vita propria e per quella di tutti. La cita Goffredo Fofi nel libro – Non mangio niente che abbia occhi (editore Contrasto)– che ha dedicato alla sua antica scelta vegetariana, avviata quando il futuro critico affiancava Danilo Dolci, il “Gandhi italiano“, a sua volta vegetariano, nelle lotte per i poverissimi di Partinico, negli anni ’50.

La Ortese era scandalizzata dalla crudeltà e dall’indifferenza delle persone verso verso gli animali. Gridava, nei suoi scritti, l’urgenza di cambiare approccio, di allargare lo sguardo: "Basta basta basta con i problemi dell’uomo. L’uomo si alzi in piedi, veda quanto ha rubato, infierito sulla natura, depredato e straziato – e come questa vita di vandalo lo abbia stremato". Parole profetiche, più attuali oggi. in piena emergenza sanitaria e climatica, di quando furono scritte: un articolo del 1978 (ora nel libro Le piccole persone pubblicato da Adelphi) in difesa di Brigitte Bardot e della sua lotta per i cuccioli di foca.

La Ortese ha un posto importante nella “letteratura per gli animali“, una letteratura di denuncia, di solidarietà, di ribellione, non di semplice omaggio o di innocua empatia verso gli “animali non umani“. Il più esplicito di tutti, nel ’900, è stato probabilmente Isaac Bashevis Singer, scrittore ebreo polacco poi statunitense, premio Nobel per la letteratura nel 1978: in un suo racconto, L’uomo che scriveva lettere (ora in Racconti, Mondadori), fa dire al protagonista: "Si sono convinti che l’uomo, il peggiore trasgressore di tutte le specie, sia il vertice della creazione: tutti gli altri esseri viventi sono stati creati unicamente per procurargli cibo e pellame, per essere torturati e sterminati. Nei loro confronti tutti sono nazisti: per gli animali Treblinka dura in eterno".

L’eterna Treblinka: un’altra immagine potente da accostare allo sdegno di Lev Tolstoj, ex cacciatore, per la caccia: "Ora in essa non vedo che un atto inumano e sanguinario, degno solamente di selvaggi e di uomini che conducono una vita senza coscienza, che non si armonizza con la civiltà e col col grado di sviluppo morale a cui noi ci crediamo arrivati".

Un altro premio Nobel (nel 2003), J. M. Coetzee, ha affidato il suo pensiero a un personaggio, Elizabeth Costello, che compare per la prima volta nel 1999 in La vita degli animali (Adelphi): anche lei, in una conferenza, allude ai campi di sterminio. "Era ed è inconcepibile che gente che non sapeva (cioè che fingeva di non sapere, ndr) dell’esistenza dei campi possa essere pienamente umana. (...) Trattando come bestie degli esseri umani, esseri creati a immagine di Dio, diventarono bestie essi stessi". Non c’è distinzione, insomma, fra dolore umano e animale, e c’è un confine – fra umano e animale – che può diventare labile, con intere categorie di persone (per esempio, in quel caso, gli ebrei) “animalizzate“ e trattate di conseguenza.

La comunità di destino fra umani e animali – certi umani, almeno – torna in un intenso passaggio di una lettera di Rosa Luxemburg, scritto dal carcere (ora in Un po’ di compassione, Adelphi): "Durante le operazioni di scarico gli animali se ne stavano esausti, completamente in silenzio, e uno, quello che sanguinava, guardava davanti a sé e aveva nel viso nero, negli occhi scuri e mansueti, un’espressione simile a quella di un bambino che abbia pianto a lungo. (...) Oh mio povero bufalo, mio amato fratello, ce ne stiamo qui entrambi e siamo tutt’uno nel dolore, nella debolezza, nella nostalgia".

Anche Vasilij Grossman, in Vita e destino (ancora Adelphi), potente romanzo sul nazismo, lo stalinismo e gli orrori della guerra, soffermò lo sguardo sugli animali; per esempio in questo passaggio: "David tornò due volte a guardare il bestiame che veniva caricato sui vagoni della stazione. Sentì un toro che muggiva ma non sapeva se muggisse o implorasse pietà. L’anima dei bambini si riempì di orrore, ma gli inservienti sporchi di grasso che passarono accanto al vagone non voltarono neppure per un istante i loro volti emaciati verso la bestia che gridava".

Infine Elsa Morante, famosa per essere un’ammiratrice dei gatti. Nel romanzo La storia (Einaudi), il piccolo Useppe è in dialogo costante con la cagna Bella e con altri animali, fino a superare la mera condizione umana. Al punto che "il silenzio, finito l’intervallo della canzonetta (il canto di un uccellino, ndr), s’era ingrandito a una misura fantastica, tale che non solo gli orecchi, ma il corpo intero lo ascoltava". Andare oltre l’umano, allargare il senso del “noi“. Diceva la Ortese, pensando alle “piccole persone“: "Senza fraternità non vi sono uomini ma contenitori di viscere".

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro