Mercoledì 24 Aprile 2024

Da Milano a Internet, Calibro 9 spara ancora

Toni D’Angelo firma il sequel del film del 1972: "Come allora nel cast c’è la Bouchet. La malavita adesso si organizza on line e continua a colpire"

Toni D’Angelo, 41 anni, sul set di “Calibro 9”, sequel di “Milano Calibro 9”

Toni D’Angelo, 41 anni, sul set di “Calibro 9”, sequel di “Milano Calibro 9”

di Giovanni Bogani

C’era una volta Milano calibro 9. Uomini in trench stile Bogart, piazza del Duomo grigia di nebbia, gli occhi azzurri di Gastone Moschin. Primi piani alla Sergio Leone, sguardi duri, eroi malinconici che prendevano pugni senza fiatare. E spari, una bellissima donna bionda, night club, bottiglie di whisky in primo piano, con l’etichetta bene in vista. In questura, il commissario che tratta i gangster da pari a pari, e il suo vice che parla di giustizia sociale. Perché anche in film come quello arrivavano, in quegli anni, i fremiti di rivoluzione.

Era il 1972. Mezzo secolo fa. C’era una volta Milano calibro 9, diretto da Fernando Di Leo, regista che poi sarebbe stato adorato da Tarantino. C’era una volta, ma in qualche modo c’è ancora: è uscito in streaming Calibro 9. Un omaggio a quel film, ma anche un vero e proprio sequel, cinquant’anni dopo; protagonisti Marco Bocci, Kseniya Rappoport, Michele Placido, Alessio Boni e Barbara Bouchet, che era nel cast del film "originale". A dirigerlo, Toni D’Angelo, quarant’anni, figlio di quel Nino dal caschetto biondo più famoso degli anni ’80 e tuttora fra i cantanti napoletani più noti al mondo.

Toni D’Angelo, già in un suo film precedente, L’innocenza di Clara, c’era un omaggio a Milano calibro 9 di Fernando Di Leo. Da che cosa nasce questa passione?

"Mi appassiona il cinema di genere: quel cinema che sa raccontare qualunque argomento senza voler dare per forza un’idea del mondo. Certo, mi piace il cinema d’autore se lo fa Michelangelo Antonioni, o anche Matteo Garrone: ma non ad ogni costo".

Quando ha scoperto il cinema di Fernando Di Leo?

"All’università, con i corsi di Vito Zagarrio, un docente che ama il cinema e che lo conosce bene, essendo anche regista".

Ma come si attualizza quel genere?

"La malavita organizzata c’è più di prima. Non ci sono più le valigette piene di soldi, ma transazioni online, che muovono milioni con un clic".

Anche lo scenario cambia. Non più Milano, ma Toronto, Mosca, Anversa…

"Sì: mi piaceva quel modello di cinema che spazia fra i continenti. Come in certi 007, volevo raccontare una criminalità che non è più legata a un territorio: dai un ordine e muore gente in quattro continenti".

Quali altri modelli di cinema aveva in mente?

"Amo moltissimo i polizieschi di Michael Mann: Heat, Collateral. Ho amato molto anche Anime nere di Francesco Munzi, che racconta la ‘ndrangheta con un taglio autoriale, ma anche molto crudo".

Se le proponessero una serie tv da Calibro 9?

"Ne sarei felice. È un mondo che può essere sviluppato in una serie televisiva. Intanto, mi piacerebbe già pensare a poter proseguire a raccontare questi personaggi in un sequel".

Con suo padre – che ha recitato in due suoi film – come sono i rapporti?

"Sono sempre stati ottimi. Lui mi ha sempre lasciato libero di fare le mie scelte: certo, era terrorizzato dall’idea che potessi soffrire, oltre alle difficoltà di chiunque oggi voglia fare cinema, anche la difficoltà di essere catalogato come “figlio di”. Per fortuna, credo di avere trovato presto un mio linguaggio e una mia identità".

Cosa le ha detto Barbara Bouchet quando le ha proposto il sequel del film che lei aveva interpretato?

"Ha riso: “Non mi vorrete mica di nuovo a ballare sul cubo?”, ha scherzato. Poi si è buttata a capofitto nel lavoro. È straordinaria: non si lamenta mai, e ha l’entusiasmo – e l’umiltà – di qualcuno che è al primo film".

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