Venerdì 19 Aprile 2024

Colpo di Fortuny, rinasce il Palazzo incantato

A Venezia, a fine ’800, in questi saloni si incontravano Henry James e D’Annunzio. E il padrone di casa dipingeva e creava abiti geniali

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di Anna Mangiarotti

Fortuny: cognome dal peso schiacciante. Ma già a 14 anni Mariano Fortuny y Madrazo rivela di possedere "le spalle da gigante necessarie per portarlo". Così commenta il giornale madrileno La Época, nel 1885. Il padre, pittore di successo, lo ha lasciato orfano a 3 anni. La madre Cecilia de Madrazo, a sua volta, appartiene a una famiglia di artisti e studiosi d’arte di primaria importanza nell’Ottocento spagnolo. Perciò il ragazzino progredisce con la guida e l’incoraggiamento del nonno materno: "Bravissimo, Marianito. Intelligente, molto solerte...". E lui, in uno dei suoi appunti sparsi, confessa il desiderio infantile, mai superato, d’identificarsi con papà, del quale ha lo stesso nome: "Mi sono sempre interessato a molte cose diverse (scultura, incisione, fotografia, teatro, illuminotecnica, design, moda, la creazione di tessuti per l’arredamento n.d.r), ma il mio vero métier è sempre rimasto la pittura". Finché un critico francese lo incorona: "Un magicien de Venice".

Sì, la magica città dei canali è lo scenario della creatività di questo eclettico figlio d’arte internazionale. Nato a Granada, sotto l’Alhambra, nel 1871, cresciuto con babysitter italiana tra Roma e Parigi, convince la mamma a lasciare la Ville Lumière: troppo costosi gli affitti. Per stabilirsi nel 1889 a Venezia. Dove fa nascere Palazzo Fortuny, già Palazzo Pesaro degli Orfei, che dal 1898 diventa casa-officina-show-room-cenacolo di incontri con la macchina fotografica Panoramic Kodak e con l’intellighèntzia del tempo: il drammaturgo Robert Browning, il poeta Gabriele D’Annunzio, il critico John Ruskin, lo scrittore Henry James, l’impresario teatrale russo Djagilev, l’attrice Eleonora Duse, o un funzionario delle Belle Arti con cui condividere l’ideale filosofico-musicale wagneriano.

Un Palazzo incantato che dopo la scomparsa del mago nel 1949 viene donato dalla vedova musa Henriette Fortuny al Comune di Venezia nel 1956, e che ora riapre al pubblico. Inondato di luce e rimodulato dagli incantesimi del maestro scenografo Pier Luigi Pizzi, dopo i danni dell’eccezionale acqua alta del 2019 e le avversità della pandemia, il museo adesso diventa permanente. Un palcoscenico di storie e passioni e meraviglie top secret. E l’eclettico Mariano vi torna protagonista. Nel percorso espositivo: “Giardino d’inverno“; “Sala collezionismo“; “Sala moda“: vedi l’abito Delphos che rende "unica" una donna (parola di Proust), in seta plissettata, acquistato per la prima volta dalla fascinosa marchesa Casati, indossato da Isadora Duncan e figlie, brevetto condiviso con la moglie Henriette, realizzato con tecniche allora innovative e tuttora misteriose...

Ma lo spazio più significativo è Gabriella Belli, direttore della Fondazione Musei Civici di Venezia e ideatrice del riallestimento, a indicarlo: "L’“Atelier“, certo. Cartina di tornasole della personalità di Fortuny. Idealmente qui lo incontriamo. Seduto con la tavolozza e pronto a dipingere, rivolto alla dormeuse in attesa della modella. Appesi alle pareti, dipinti di nudi femminili, tele preparatorie del ciclo dedicato ai Quattro Elementi, rappresentazioni di Allegorie. Soprattutto, invito il visitatore a gioire di minutaglie come il flaconcino di liquido per diluire i colori. Ecco, in questo palazzo sono stati composti nel più rigoroso riserbo oltre 46 colori, commercializzati come “Tempere Fortuny”, molto utilizzate ed elogiate da italiani e stranieri".

Né va dimenticata la rivoluzionaria invenzione accolta con entusiasmo da Sarah Bernhardt, la “Cupola Fortuny”: una sezione di sfera, da installare sul fondo del palcoscenico, con il risultato di portare luce indiretta e diffusa, cieli colorati e nuvole, nei teatri di tutta Europa. Così meglio si comprende anche la novità di Palazzo Fortuny nel sistema dei musei veneziani: "Rappresenta l’anima cosmopolita e creativa di una città d’arte che diventa nel ‘900 sistema economico" aggiunge il direttore Belli. Lei stessa ha inoltre voluto prevedere al piano terra, risalente al Trecento, uno spazio per mostre temporanee di arte contemporanea, ora, la Collezione Panza di Biumo: "Il passato si tramanda al futuro rileggendolo attraverso il dizionario del presente". Non lo fece la sfarzosa Belle Époque, arredata con mobili antichi e cianfrusaglie per nascondere i suoi difetti sotto le vestigia di epoche più galanti e gloriose. E finì nella Prima Guerra Mondiale.

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