Colonialismo addio, restituite le opere all’Africa

Svolta di Macron, cade l’ultimo tabù: feste in Benin per il rientro dei pezzi d’arte trafugati dai francesi. Solo Londra (per ora) non cede

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di Giovanni Serafini

"È un momento simbolico, storico, tanto atteso quanto insperato". Sono le parole rivolte da Emmanuel Macron al presidente del Benin, Patrice Talon, mercoledì scorso all’Eliseo. Il "momento storico" era quello della restituzione al Benin di 26 opere d’arte trafugate nel 1892 dalle truppe coloniali francesi nella reggia del Dahomey (antico nome del Benin). L’annuncio era stato dato a sorpresa da Macron nel 2017 con un discorso nel Burkina Faso: "Il patrimonio africano deve tornare agli africani". Le opere sono tornate effettivamente ieri a Cotonou, la capitale economica del Benin, festeggiate da migliaia di persone che erano andate apposta all’aeroporto per accoglierle.

Una svolta, certo, anche se a nostro avviso un po’ limitata. Se la Francia invece di 26 pezzi al Benin restituisse all’Italia le migliaia di opere rubate da Napoleone, allora sì parleremmo di "momento storico". Ma è inutile illudersi: se la Francia applicasse la dottrina macroniana al Louvre resterebbe forse solo la Gioconda (comprata da Francesco I per quattromila ducati d’oro) e tanti altri musei transalpini chiuderebbero i battenti per mancanza di materiale espositivo… Resta il fatto che per la prima volta un tabù è stato infranto.

"È l’avvio di un movimento in tutto il mondo al quale da oggi in poi sarà difficile sfuggire", ha commentato Marie Cécile Zinsou, figlia dell’ex primo ministro del Benin e presidente di una delle principali fondazioni artistiche africane. In effetti qualcosa si sta muovendo davvero. Il 5 novembre scorso la “Smithsonian Institution” di Washington ha annunciato di essere pronta a restituire alla Nigeria 16 pezzi saccheggiati nel corso di una spedizione punitiva britannica nel 1897.

La Germania a sua volta ha firmato a metà ottobre un protocollo d’intesa con la Nigeria per il rimpatrio di 1100 sculture esposte nei suoi musei: partiranno da Berlino nel secondo semestre del 2022. Fitte discussioni inoltre sono in corso a Bonn sulla restituzione dei capolavori depredati dai nazisti in tutta Europa durante la Seconda guerra mondiale: bisogna stabilire come rispettare i diritti degli eredi delle vittime, senza al tempo stesso svuotare le collezioni dei musei.

Il vento delle restituzioni soffia anche in Belgio, il cui “Africa Museum” ospita 85mila reperti provenienti dal Congo belga. Una ricerca storica e scientifica è in corso per stabilire l’elenco dei pezzi trafugati; un’apposita commissione ha verificato che sono almeno duemila quelli sottratti con la violenza.

Per quanto riguarda l’Italia, nel 2008 ha reso all’Etiopia dopo diatribe decennali l’obelisco di Axum, una stele di duemila anni alta 24 metri che per ordine di Mussolini fu portata a Roma durante l’occupazione dell’Etiopia per essere installata in piazza di Porta Capena davanti al Ministero delle Colonie, là dove oggi sorge la Fao.

Un paese invece che non vuole saperne di restituzioni è l’Inghilterra: il British Museum, che possiede la più grande collezione di bronzi del Benin (900 pezzi), non ha la minima intenzione d’imitare la scelta di Macron, terrorizzato all’idea di dover rendere alla Grecia i fregi del Partenone e altre opere d’arte sottratte nel diciannovesimo secolo.

Decisamente ostili anche, in tutto il mondo, molti conservatori di musei: che garanzie ci sono - osservano – che le opere restituite ai paesi d’origine vengano poi trattate come necessario? O peggio, che non vengano immediatamente rivendute?

"I musei non devono essere ostaggio della storia del colonialismo", dice Stéphan Martin, ex presidente del Museo Branly a Parigi. Quanto alla “svolta” di Macron, molti la contestano: lo ha fatto – replica il Collettivo degli antiquari parigini di Saint-Germain-des-Près – solo per conservare un po’ d’influenza in Africa e per proteggere il mercato francese, disputandolo alla Cina.

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