Giovedì 25 Aprile 2024

Sui delta dei fiumi vivono 340 milioni di persone a rischio di inondazione

Quasi il 5% della popolazione mondiale si concentra sulle foci dei grandi fiumi, sempre più vulnerabili a cicloni e inondazioni a causa del riscaldamento globale

I delta più popolosi si trovano nel raggio d'azione dei cicloni tropicali

I delta più popolosi si trovano nel raggio d'azione dei cicloni tropicali

I delta dei fiumi sono densamente popolati e alcuni dei più affollati si trovano nel raggio di azione dei cicloni tropicali. Con il riscaldamento globale questi fenomeni sono destinati ad aumentare di frequenza e intensità (senza contare il problema dell'innalzamento dei mari), rendendo queste zone sempre più vulnerabili al rischio di inondazioni. Eppure, nonostante le dimensioni del fenomeno, finora non si sapeva nemmeno con certezza quante persone vivono sui delta. Secondo le stime di un nuovo studio guidato dalla Indiana University, basato su una raccolta di dati globale del 2017, si tratta di 339 milioni di individui: il 4,5% della popolazione mondiale in quel momento, concentrata però nello 0,57% della superficie terrestre. Di questi, la quasi totalità (tranne 10 milioni di persone) vive in paesi poveri o in via di sviluppo, e l'89% si trova appunto nelle latitudini interessate dai cicloni tropicali. La densità abitativa è altissima lungo le dieci foci più popolose (sulle oltre duemila prese in esame), che da sole assommano il 78% delle persone che risiedono sui delta. Quello del Gange ha 105 milioni di abitanti, quello del Nilo 45 milioni, quello del Fiume Azzurro in Cina 31 milioni. Dal censimento dei delta è emerso un altro dato preoccupante: la maggior parte di quelli più popolosi risultano impoveriti di sedimenti e quindi privi del naturale sistema di difesa dalle inondazioni. Gli interventi umani lungo il corso dei fiumi, come ad esempio la costruzione di dighe, ha ridotto la quantità di depositi e di limo che giungono e si accumulano alle foci, rendendole più "deboli" di fronte all'invasione delle acque del mare. Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications.

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