
La proiezione di "The End", il nuovo film di Joshua Oppenheimer
Roma, 10 giugno 2025 – Un elmetto giallo da cantiere e una felpa per la temperatura tutt'altro che estiva che ci aspetta, e poi pronti per entrare nelle miniere di sale Italkali di Raffo, frazione di Petralia Soprana, in Sicilia. È lì che I Wonder Pictures ha organizzato la proiezione di The End, il film di Joshua Oppenheimer che sarà nelle sale dal 3 luglio dopo l'anteprima al Biografilm Festival. È lo stesso regista, insieme al protagonista George MacKay, ad accompagnare i presenti in una visita, a 200 metri sottoterra, nei luoghi che hanno fatto da set al film musicale trasformati in un bunker sotterraneo riarredato come una casa di lusso. È lì che vivono Madre (Tilda Swinton), Padre (Michael Shannon) e Figlio (MacKay) dopo la fine del mondo. L'arrivo di una ragazza dall'esterno (Moses Ingram) incrinerà il delicato equilibrio costruito nel corso degli anni.
«Quando abbiamo girato il film, le nubi nere dell'autoritarismo si sono addensate sull'Europa e soprattutto sugli Stati Uniti», spiega Oppenheimer quando lo incontriamo il giorno successivo in un albergo nel cuore di Palermo. «Stiamo vivendo secondo il vero significato della parola Apocalisse. Sappiamo che se continueremo così ci estingueremo. The End è un film post-apocalittico per un presente post-apocalittico».
«Quando ho iniziato a viaggiare per il mondo con il film, il genocidio a Gaza stava diventando sempre più devastante. Ma non ne parlavo», continua il regista riferendosi all'attualità dei temi trattati, dall'autoinganno alla presa di coscienza fino al potere nelle mani di oligarchi, magnati e miliardari arricchiti con la violenza. «Ho sentito acuta la mia ipocrisia perché il genocidio veniva compiuto in mio nome in quanto ebreo. Questi tempi di totalitarismo e crisi ci insegnano che se c'è una lezione che possiamo imparare è quella di non restare soli in un bunker isolato sui social media. Non è un momento per la solitudine».
Figlio, nato e cresciuto nel bunker non conosce la sensazione del calore del sole sulla pelle eppure la immagina, così come fantastica sul mondo che non ha mai conosciuto. «Negli ultimi due anni è come se avessi avuto accesso al mondo degli adulti. Ho creato la mia famiglia ed è stato come se i temi presentati nel film avessero iniziato a fare parte della mia quotidianità. Ho iniziato a farmi domande su come affrontarli», spiega MacKay. «Sebbene i leader siano utili, dobbiamo fare un grande sforzo per rimanere leader di noi stessi. Non in termini individualistici, ma per essere responsabili e connetterci alla comunità. I politici, e lo dimostra quello che sta accadendo in questo momento nel mondo, cambiano idea continuamente creando instabilità. Dobbiamo cercare qualcosa di più normale, radicato e stabile. E dobbiamo farlo dentro di noi».
In un quadro del genere, come si guarda al futuro? «I giovani che vedono il film mi scrivono: «È una tragedia, ma è un tale sollievo vedere un'opera che riflette la nostra situazione»», confessa Oppenheimer. «È una fonte di speranza poterla elaborare, affrontare e reagire. Ogni tragedia è un racconto ammonitore. Così quando usciamo dal cinema e alziamo lo sguardo ci rendiamo conto che c'è ancora un cielo meraviglioso sopra le nostre teste e che abbiamo ancora tempo per fare tutto il possibile per dare un senso alle nostre vite - individuali e collettive - su questa terra».