
Gabriele Salvatores, 74 anni, presidente della giuria di “Corti senza confine“
“Un viaggio da fare” verso Gorizia (Italia) e Nova Gorica (Slovenia), insieme titolari della carica di Capitale europea della cultura, per la prima volta transfrontaliera, nel ricco programma “GO!2025”. Tra gli eventi, “Corti senza confine”, 8 cortometraggi che debutteranno alle giornate Fice in edizione borderless (30 settembre – 3 ottobre a Gorizia e Nova Gorica). Selezionati da una giuria presieduta da Gabriele Salvatores, che ieri a Milano, a Palazzo Morando, nell’ambito della mostra “Un viaggio da fare” (opere d’arte-porte sui paesaggi geografici e culturali del Friuli Venezia Giulia), ha presentato i soggetti vincitori.
Commendator Gabriele (Commendatore al merito della Repubblica, titolo conferito dal Quirinale, in aggiunta a un Oscar e un Globo d’oro e 4 Nastri d’Argento), al tavolo era accanto a Stojan Pelko rappresentante della cinematografia slovena. Arte visiva interessante?
"Purtroppo, i nostri schermi sono occupati per l’80% dal cinema americano. Il restante 20% dobbiamo dividercelo con il resto del mondo. Pochi film sloveni riusciamo a vedere".
Finché non faremo gli Stati Uniti d’Europa.
"Facciamo presto, altrimenti siamo fregati".
Intanto, quel poco che ha visto le piace?
"La cinematografia slovena, più vicina alla natura e ai soggetti rurali, condivide affinità con il cinema italiano anni ’50 e ’60, con il Neorealismo".
Allora, oltre il confine, c’era la Jugoslavia. Cos’è rimasto del comunismo?
"Certamente il Galeb, ex-yacht presidenziale di Tito, che vi ospitò Sophia Loren piuttosto che Churchill. L’ho usato come set nel mio film Napoli - New York. Ora, è ormeggiato nel porto di Fiume (Rijeka), Croazia. Senza motori, non si sposta più".
Alla periferia di Vilnius, in Lituania, ha girato Educazione siberiana, ricostruendo la triste Transnistria del romanzo di Lilin. E al centro del paese ha rimesso la statua di Lenin. Commenti?
"Un gran discutere, tra gli abitanti, se si stava meglio prima, o si stava peggio. “Ora almeno abbiamo la libertà!” osservò un tale. Subito: “Ma, se non abbiamo i soldi, che ce ne facciamo?” obiettò la moglie".
Potere del cinema è rievocare i fantasmi.
"Certo, lo dice Jacques Derrida, e io aggiungo che i fantasmi (emozioni, ricordi già nell’inconscio dello spettatore) hanno bisogno del buio e del silenzio della sala cinematografica per manifestarsi".
Mentre – come in altre città – anche a Milano sale storiche continuano a chiudere.
"Che tristezza tornare in corso Vittorio Emanuele, dove a 20 anni non sapevo che scegliere: era “Broadway“ vicino al Duomo, ora un supermercato".
A quasi 75 anni, pessimista?
"Al contrario, ho fiducia nella nuova generazione di registi. E trovo conferma nei “Corti” che ho esaminato (vincitori Simone Massi, Mauro Lodi, Emma Jaay, Lorenzo Fabbro, Chiara Cremaschi, Alberto Fasulo, Davide Del Degan, Giacomo Bendotti; a ciascuno un contributo di 100.000 euro per la produzione, ndr). Parole scritte che diventano parole che volano. Superando i confini".
Il suo Mediterraneo, vero cult, ha superato anche i confini del cinema. Il Mediterraneo lambisce Trieste, che perciò le è tanto familiare?
"In Friuli, sì, ho girato già 6 film (trascorrendo 965 notti al Savoia Excelsior Palace di Triste che guarda al mare e alle Dolomiti, ndr). Trieste, città diversa da tutte le altre, italiane e no. Internazionale. Una Vienna sul mare. Io vi ho ricreato New York. Ma ora rispetto la sua individualità: tornerò a girare il sesto film: La variante di Lüneburg, in due lingue, italiano e tedesco; triestino ho reso l’ebreo che per tutta la vita sfida l’ex-ufficiale nazista a scacchi".
Sono gli scacchi da sempre una metafora della vita contro la morte.
"Con trepidante scrittura lo racconta il romanzo che mi ha ispirato il film, non a caso partorito in terra friulana: capolavoro di Paolo Maurensig, goriziano, che dal confine si è posto al centro del mondo".