Milano, piazza del Duomo. Come ogni giorno donne e uomini attraversano il luogo simbolo della città. Ma basta alzare lo sguardo per scoprire che la cattedrale è stata distrutta e ne è rimasta in piedi solo una parte. È la Milano del 2030, quella distopica raccontata da ‘Citadel: Diana. Il capitolo italiano del mother show statunitense con protagonisti Richard Madden e Priyanka Chopra Jonas (di cui è in produzione la seconda stagione) prodotto dai registi di “Avengers: Endgame” Anthony e Joe Russo.
Prodotta da Cattleya – parte di ITV Studios -, Amazon MGM Studios e gli stessi Russo brothers, la serie - disponibile in tutto il mondo dal 10 ottobre su Prime Video - è diretta da Arnaldo Catinari e vede protagonista Matilda De Angelis nel ruolo della Diana del titolo. Un spia di Citadel infiltrata sotto copertura nella potente organizzazione rivale, Manticore, a cui fa capo l'Ettore Zani di Maurizio Lombardi. Rimasta orfana dopo uno strano incidente aereo che ha visto coinvolti i suoi genitori, Diana – scopriamo dai numerosi flashback - ha deciso di trovare la verità da sola. Così determinata nel suo obiettivo da venire adocchiata da Gabriele (Filippo Nigro) che le propone di entrare in Citadel addestrandola per diventare un agente segreto.
Niente più emozioni, solo la freddezza di chi non deve far scoprire le proprie carte. Una macchina programmata per colpire l'avversario. Chiunque esso sia. Ma Diana, dopo otto anni, vuole altro. Vuole la libertà. E, quando l'occasione per riprendersi indietro la sua vita le si presenta, andrà a bussare alla porta del più inaspettato degli alleati, Edo Zani (Lorenzo Cervasio), l'erede di Manticore Italia.
Ricchissima di scene d'azione, con Matilda De Angelis che ha realizzato il 90% dei suoi stunt senza l'aiuto di controfigure, la serie ha messo in campo uno sforzo produttivo non indifferente che segna un prima e un dopo per la serialità italiana. Girata tra Roma e Milano, Palermo e Lugano passando per Como e Parigi, “Citadel: Diana” ha un respiro internazionale senza dimenticare le sue radici. Lo dimostra proprio la sua ambientazione. La città meneghina con le sue architetture razionaliste viene trasformata in una Milano retrofuturista che intreccia influenze cinematografiche, da “Gattaca - La porta dell'universo” di Andrew Niccol a “La decima vittima” di Elio Petri, a quelle pittoriche con i dipinti di Giorgio De Chirico a fare da influenza principale.
Il risultato è un mondo fatto di alienazione e inquietudine ma anche di nostalgia e solitudine. Un dualismo che attraversa tutta la spy story muovendosi tra passato e
futuro e che tocca anche i personaggi. A cominciare da Diana. Una spia, doppiogiochista per natura, che quella duplicità la esibisce addirittura nel suo taglio di capelli asimmetrico, corto da un lato e lungo dall’altro (e che potrebbe dare vita a numerosi meme vista la similitudine con quello della sorella di Fleabag nell'omonima serie Prime Video).
Sei episodi da circa cinquanta minuti con Alessandro Fabbri nel ruolo di head writer e Gina Gardini (“Gomorra”, “Suburra”) in quello di showrunner ed executive producer che parlando del futuro parlano - tanto - anche del nostro presente. Bastano i primi minuti dell'episodio iniziale per rendersene conto: zone sicure grazie a controlli militarizzati, telecamere a circuito chiuso installate ad ogni angolo della città, liberalizzazione delle armi con il consenso delle forze politiche. Tutte realtà che, dalla Corea del Nord fino agli Stati Uniti, sono già la norma. Ma c'è di più. Sì, perché Manticore Italia è al lavoro su armi non rilevabili. E se guardiamo allo stato del mondo è chiaro che “Citadel: Diana” ha attinto a ciò che ci circonda per tracciare i contorni di un possibile futuro neanche troppo lontano. Un futuro che fa paura. Come il nostro presente.