Martedì 23 Aprile 2024

"Chiamami col nome amore" Chalamet e i diritti del cuore

Il divo a Roma per il lancio italiano di “Bones and All“, già premiato a Venezia. Guadagnino: "Non è un horror ma una fiaba sulla speranza di spezzare la solitudine"

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di Beatrice Bertuccioli

Sono i dettagli che fanno la differenza. Lo sa bene Timothée Chalamet, l’idolo delle giovanissime e non solo, il divo in grado di richiamare folle di fan in delirio, modello di una nuova mascolinità più morbida e delicata, con il suo fisico esile ben diverso da quello dei divi tutti muscoli e pettorali, e con i suoi look da moderno dandy, ricercati e ammiccanti. Schiena nuda a Venezia, due file di perle intorno al collo ieri, per la presentazione a Roma di Bones and All, dal 23 novembre nelle sale, il film di Luca Guadagnino vincitore alla Mostra del Cinema del Leone d’argento alla regia e del Premio Marcello Mastroianni per la migliore attrice emergente a Taylor Russell, splendida protagonista accanto a Chalamet.

Storia romantica e inquietante di due giovani e del loro viaggio negli Stati Uniti del Midwest, negli anni Ottanta. Una storia d’amore e di cannibalismo perché Maren e Lee, e non sono i soli, addentano, sbranano, spolpano fino all’osso. Ma non è un horror, precisa Guadagnino e si augura che per il film venga mantenuto il divieto proposto dai distributori di Vision, soltanto ai minori di 14 anni. "Non è pensato come un film dell’orrore ma come una sorta di fiaba – spiega il regista – sulla solitudine dell’esistere e sul desiderio di spezzare questa solitudine attraverso l’essere guardati da un altro".

Certo non un horror, anche secondo Timothée. "Credo che sia prima di tutto una storia d’amore incentrata su due giovani isolati in una parte dell’America durante gli anni di Reagan, quando era stata fatta una promessa agli americani poi disattesa, e molte persone sono state abbandonate. Ferite e cicatrici che permangono ancora oggi. Parla di giovani che lottano per trovare se stessi e il cannibalismo li allontana ulteriormente dalla società, perché vengono visti come una minaccia".

Una condizione, quella di sentirsi diversi e isolati, comune a molti, e non solo ai giovani, osserva Chalamet. "Molti l’hanno probabilmente provata durante il lockdown. Il messaggio? Potremmo dire che l’interpretazione sta allo spettatore. Viviamo in un’epoca in cui è naturale sentirsi diversi, tra Covid, riscaldamento globale e alcuni Stati che guardano al sovranismo".

Ventisei anni, americano naturalizzato francese, Chalamet sente di dovere molto a Guadagnino. "Non sarei qui se non fosse per lui, se non mi avesse scelto per Chiamami col tuo nome, un vero dono che mi ha fatto. È una figura importante nella mia vita, un mentore, una roccia. Ha il suo ritmo artistico che ti coinvolge. Ora siamo anche grandi amici e spero che faremo ancora tante cose insieme. Per me è una fonte di ispirazione perché è autentico. Aspiro a essere come lui, non rinchiuso in una categoria ma libero, capace di lavorare fuori da percorsi già noti e segnati". E commenta una frase del film. "Sì, credo che “l’amore ti rende libero“ sia la frase più importante del film, perché l’amore – riflette – è un desiderio profondo, qualcosa per cui si lotta tutta la vita. Ed è strano, perché tutti dovrebbero essere amati senza dover lottare tanto".

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