Mercoledì 24 Aprile 2024

Perché nelle cucine dei ristoranti gli chef diventano aggressivi? Lo studio

Secondo uno studio, lavorare in un ambiente chiuso, isolato e nascosto crea le condizioni che favoriscono abusi e comportamenti violenti fra gli chef

La cucina è vissuta come una sorta di universo morale separato, dove tutto è lecito

La cucina è vissuta come una sorta di universo morale separato, dove tutto è lecito

Vari programmi televisivi di successo hanno sdoganato l'immagine dello chef che perde le staffe, insulta i sottoposti e lancia in giro i piatti. Anche concedendo che sia un'esagerazione per solleticare gli istinti più bassi degli spettatori, in realtà stiamo assistendo a comportamenti che si verificano veramente nelle cucine dei ristoranti. E c'è poco da ridere, perché si tratta di bullismo, minacce e aggressioni che colpiscono colleghi e dipendenti sottoposti a un regime lavorativo spesso già di suo massacrante. Non è sempre così, ovviamente, ma le denunce emerse negli ultimi anni dimostrano che questa "cultura" dell'abuso è diffusa, e ha attirato anche analisi rivolte a capire come si inneschi e si radichi. L'Università di Cardiff ad esempio ha intervistato 47 chef che lavorano in ristoranti stellati Michelin e ha scoperto un aspetto interessante: l'ambiente chiuso e isolato delle cucine, lontano dagli occhi del pubblico, genera le condizioni e le opportunità per lasciarsi andare a comportamenti violenti. Una sorta di universo morale separato, all'interno del quale le intemperanze sono la norma. Orari di lavoro stressanti (non di rado 12 ore al giorno o anche di più), ritmi intensi, spazi spesso stretti e sovraffollati creano un clima incendiario, nel quale basta poco perché la situazione degeneri. Come causa delle condotte abusive nelle cucine, ricerche precedenti hanno puntato il dito contro la prevalenza di modelli culturali dominati dagli uomini e la pressione estrema a cui è sottoposta la brigata di cucina per fare le cose rapidamente e al massimo standard qualitativo. I ricercatori adesso aggiungono appunto un'altra variabile: la "geografia" stessa dell'ambiente di lavoro può influire sugli atteggiamenti aggressivi. Gli chef intervistati hanno descritto la cucina come un luogo di lavoro "separato", "scollegato", "alienante". "Abbiamo osservato che questo isolamento può essere percepito come una sorta di libertà dagli sguardi indagatori e generare la sensazione che qui si possano fare cose che normalmente non sarebbero accettabili", spiega uno degli autori, Robin Burrow. "In questo contesto, possiamo inquadrare i comportamenti scorretti che vediamo negli show televisivi e che leggiamo nelle notizie come un rituale, eseguito da una comunità di persone che accettano che, quando si trovano in cucina, è permesso agire al di fuori dei ruoli e dei doveri convenzionali", aggiunge l'autrice Rebecca Scott. Ancora Burrow: "Per quanto riguarda il settore della ristorazione, i nostri risultati forniscono un argomento convincente a favore dello spostamento in piena vista degli spazi di lavoro riservati e nascosti, e in particolare delle cucine. In piena vista, violenza e bullismo non si possono nascondere e i responsabili possono essere chiamati a rispondere". D'altro canto, la ricerca ha anche rilevato che la condivisione collettiva di un lavoro fisico e stressante porta in molti casi a sviluppare un forte senso di cameratismo e spirito di squadra, che permette agli chef di lavorare al loro meglio anche in condizioni estreme. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Journal of Management Studies.

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