Martedì 23 Aprile 2024

Che Joker quel Napoleone: è sempre Phoenix

Dall’Oscar del 2020 ai panni del generale còrso nel nuovo kolossal di Ridley Scott. L’ennesima grande sfida per un attore totale

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di Chiara Di Clemente

La teoria di Joaquin Phoenix sulla recitazione è questa: tutto ciò che ti insegnano da bambino è sbagliato. Ti insegnano a ricordare le battute. Sbagliato. Ti insegnano a seguire la tua luce. Sbagliato. Ti insegnano a colpire nel segno, ti insegnano i termini tecnici. Sbagliato: sono esattamente queste tutte le cose che non devi fare, che non devi sapere. Perché facendo così reciti, ed è brutto.

Phoenix se ne convinse all’epoca di Walk The Line: sfiorò l’Oscar 2006 da migliore attore protagonista interpretando l’icona countrytossica Johnny Cash, ma la statuetta quell’anno finì tra le mani del suo alter ego – l’altro attore gigante della sua generazione – Philip Seymour Hoffman, per Truman Capote. Nel 2012 Phoenix e Hoffman avrebbero condiviso a Venezia la Coppa Volpi per The Master, di P.T. Anderson. Philip sarebbe morto solo due anni dopo, 47 anni neanche compiuti, overdose; Joaquin i suoi 47 anni li sta vivendo adesso, nel pieno della carriera artistica: Oscar 2020 per il suo indimenticabile Joker, presto nelle sale italiane con il commovente C’mon C’mon di Mike Mills, ora sul set londinese nei panni di Napoleone nel kolossal Apple Tv+ atteso nel 2023 per la regia di Ridley Scott (che nel 2000 lanciò Joaquin perverso Commodo nel Gladiatore). Le prime foto di Phoenix-Bonaparte sono uscite in questi giorni: di Napoleon si sa che – con la sceneggiatura di David Scarpa (Tutti i soldi del mondo) e Vanessa Kirby-Giuseppina – narrerà l’ascesa al potere dell’imperatore, con grandi scene di battaglia. L’ex Joker è trasfigurato: nel film in cui improvvisava la sua folle danza in un bagno lercio subito dopo un assassinio, volto e corpo erano all’osso (23 chili persi per il ruolo); qui Phoenix è massiccio, granitico.

I due anni che lo separano dall’Oscar di Joker lo hanno visto sempre più impegnato nell’attivismo per i diritti degli animali (ha recentemente prodotto il doc Gunda per mostrare "la curiosità del maiale protagonista, il suo terrore, la disperazione di fronte alla crudeltà dell’uomo") e come papà del bambino avuto dalla collega Rooney Mara, chiamato River.

River è ovviamente anche il nome del fratello maggiore di Joaquin, il divo “bello e dannato“ che Joaquin vide morire per overdose di eroina e cocaina nella notte di Halloween del 1993, sul marciapiede davanti al Viper Room, il locale di Los Angeles sul Sunset Boulevard in cui quella sera suonavano Johnny Depp e Flea dei Red Hot Chili Peppers. River aveva 23 anni, Joaquin 19, e fu lui a fare la straziante chiamata di emergenza da una cabina telefonica: "Dovete venire qui", implorò. "Per favore! Per favore!". Quando i soccorsi arrivarono River era già morto.

Con River e Joaquin, quella notte, c’era anche la sorella Rain: la storia della famiglia è un film nel film, genitori hippy girovaghi con River nato nel ’70 e Rain nel ’72 che fin da piccoli si esibiscono nei paesini del Texas per racimolare soldi; nel ’73 i genitori si uniscono alla setta dei Bambini di Dio di Mosè David (David Berg) e partono come missionari per l’America Latina, su un furgone. Joaquin nasce nel ’74 a Porto Rico, Liberty nel ’76 in Venezuela, finché con la crescente cattiva fama di Berg (accusato di abusi sessuali) nel ’77 i Bottom lasciano la setta e Caracas per la Florida e poi Los Angeles. Il viaggio di ritorno negli Usa avviene su una nave mercantile: il 23 ottobre ’77 Joaquin festeggia 3 anni e riceve dall’equipaggio la sua prima torta e il suo primo regalo di compleanno, ma assiste anche alla scena più cruenta che abbia visto fino ad allora e che lo sconvolge: "Creature indifese venivano torturate a morte", raccontò, erano i pesci volanti prede dei pescatori.

Convertiti al veganismo, col cognome trasformato da Bottom in Phoenix e col talento da artisti sviluppato fin da bambini, River per primo e a ruota Joaquin a Hollywood trovano fin dai primi ’80 ruoli al cinema e in tv. River è baciato da un successo straordinario, ma è presto anche invaso dai demoni della dipendenza. E dopo la morte del fratello, anche Joaquin: nel 2006 tra Hoffman e Joaquin è decisamente il secondo quello che sembra messo peggio. Alle interviste fugge dopo aver vomitato, o proprio non risponde; è alcolizzato, una notte ha un incidente, scende insanguinato dalla macchina che sta per prendere fuoco e subito fa per accendersi una sigaretta. Lo ferma un uomo che gli urla dalla finestra: "Rilassati"; gli salva la vita, è Werner Herzog. Nel 2010 Joaquin gira un finto documentario, una sorta di suicidio professionale, in cui si mette in scena come un debosciato annunciando la fine della carriera d’attore e l’inizio di quella di cantante hip hop.

Ma più l’uomo vive di eccessi, più l’arte di attore si distilla, e le sue interpretazioni divengono l’anima spezzata di ogni essere umano che vuole solo liberarsi da se stesso. Da un’ansia cosmica – l’ansia della nostra epoca, del Joker come di Napoleone – che scava sotterranea, incosciente, inesorabile. L’unico modo per recitare così è non recitare: è non avere controllo, non capire le cose. Solo così puoi averne paura. Ed è la paura infinita della crudeltà che uccide i più innocenti. I pesci. Tuo fratello.

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