
I giardini, i campanili, l’acciottolato del centro e l’asfalto delle ampie strade di periferia, le ciclabili, il fiume, il lago e, sullo sfondo, le vette alpine. Tutto legato dal filo robusto di un senso civico che ha pochi paragoni. Forse in nessun altro angolo della Svizzera, come a Zurigo, si tocca con mano la salda verità di certi luoghi comuni. D’altronde, qui la neutralità non è mai stata solo una voce di bilancio, ma una religione applicata senza sconti. Basti pensare che rivoluzionari politici e ribelli intellettuali di ogni risma e Paese del mondo, di ogni ordine e grado, qui venivano soprattutto - ma non solo - fra le due guerre a ritemprare il corpo stanco di fughe dalle polizie e di vite vissute fra scantinati e sottoscala. Non certo di sola ricchezza economica ha vissuto e vive Zurigo, se ancora la targa ’Qui visse dal 21 febbraio 1916 al 2 aprile 1917 Lenin, il capo della rivoluzione russa’ è esposta al primo piano della bella palazzina al civico 14 di Spiegelgasse. A due passi c’è il Cabaret Voltaire, vivace culla del Dadaismo dove ancor oggi campeggia orgogliosa la scritta ’1916’, anno di fondazione. Bastò poco, per portare la rivoluzione della modernità tra queste pietre antiche.
Hugo Ball, che con Emmy Henings e Tristan Tzara fondò il Cabaret Voltaire, scrisse: "Sono andato dal signor Jean Ephraim e gli ho detto “per cortesia, datemi la vostra sala, desidero fare un cabaret”. Ephraim era d’accordo e mi ha dato la sala". E in tempi nei quali ovunque bastava un articolo su un giornale clandestino per finire i propri giorni da seppelliti vivi nelle segrete di qualche cella, a Ball bastò chiamare a raccolta le forze dell’altrui curiosità per dar voce ai rivoluzionari: "Sono andato da amici giornalisti di Zurigo e li ho pregati: “Diffondete alcune notizie, deve diventare un cabaret internazionale. Vogliamo fare belle cose”". Detto, fatto. Ne nacque una delle sperimentazioni più radicali, influenti, geniali dell’Europa del ‘900. Fra musica popolare russa, musica nera, versi di Kandinskij, Tzara, Cendrars, discussioni su Nietzsche, de Sade, Marinetti, Modigliani e Picasso. "Un gioco da pazzi uscito dal nulla" lo definì Ball.
Ancora oggi, a far due passi nella notte, in quest’atmosfera magica, pare di ripiombare indietro di decenni. E la grande bellezza la trovi in vetrine dietro le quali artigiani senza tempo hanno visto scorrere i secoli, imperturbabili nella consapevolezza dell’arte concreta. Dagli abiti cuciti a mano al legno lavorato, da antichi giocattoli a fornai e pasticceri che abbinano alla teatralità delle forme i sapori del gusto. Un tramonto infuocato fra queste valli vale più di mille parole. Il lago, solcato da navi crociera o yacht milionari, da geniali sauna-boat a barchette da amatori, regala riflessi di verdi colline e visioni alpine. Finché dalle ricche ville affacciate sull’acqua spunta la luna.
E la città, vista dal lago, assume il profilo di un paesaggio medievale con i ponti esaltati dalle luci bianche e soffuse (ecosostenibili, of course) del ’Plan Lumière’. Lo stesso che fa risaltare la Chiesa di Grossmünster e lo Schauspielhaus, il Lindenhof che domina la città, e il Bauschänzli. Tutto brilla ma non stona. Tutto lontano mille anni luce dalle atmosfere da luna park di altre capitali sfregiate dai tempi moderni. E le 1.281 fontane spuntano a ogni angolo, orgoglio del modello Zurigo: acqua pura, gratis, per tutti. Una città antica, sì. Ma anche moderna, con i suoi quartieri ex industriali diventati fucine di start up presi a modello da urbanisti di tutto il mondo. E il suo centro – regno di banche e del colosso Google, che qui ha il quartier generale europeo, ma anche di artigiani – che profuma di foglie d’alberi ed erba tagliata.
Altro che gas di scarico e traffico. Qui si pedala senza troppi problemi, lontani dalle polemiche. Una vita diversa, dove alle 7 si comincia a lavorare ma tra le 17 e le 18 si stacca. Per godersi l’aria aperta d’estate e, in altre stagioni, l’aperitivo e una cena. Quindi, smentire subito i luoghi comuni: qui c’è la più ampia scelta di chef stellati e ristoranti come Rechberg 1837, dove il Made in Zurich è una religione che non ammette tradimenti, in materie prime e preparazioni. Stessa logica di gioielli architettonici e gastronomici come Café&Conditorei 1842, l’Odeon e Schwarzenbach.
E che dire di Zweifel, Landolt, Dreistand o dell’eroico Erich Meier, vini affacciati su laghi e valli da assaggiare per un viaggio nell’orgoglio zurighese. Lo stesso orgoglio lo leggi sul volto di persone come Kay Keusen, che nel 2015 ha cominciato la nuova vita da produttore di cioccolata. Ha cominciato da una piccola officina, ora ha un piccolo impero in stile Willy Wonka dove il sorriso è l’obbligo. La sua Taucherli produce ’Bean-to-bar’ con un controllo rigoroso di ogni fase, dalle fave di cacao alla tavoletta. L’amore è tale che se le è tatuate sulla pelle, una per avambraccio.
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