Giovedì 18 Aprile 2024

Caterina Sforza, la (vera) regina del Rinascimento

Un festival a Forlì celebra la contessa guerriera: libera e ambiziosa, esercitò il potere con giustizia ma per conservarlo sacrificò i figli

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di Eleonora Mazzoni

Prima di morire pare che Caterina Sforza confidasse a una suora che l’assisteva: "Se io dovessi scrivere tutto, stupirei il mondo". E, in effetti, non è facile condensare la vita intensa di questa donna fuori dalla norma. Partiamo allora dal 30 aprile 1488 quando Caterina, 25 anni e sei figli minorenni, diventata di colpo vedova del primo marito, Girolamo Riario, nipote del Papa Sisto IV, si ritrovò non solo libera da quell’uomo prepotente e ottuso ma anche Signora di Imola e Forlì. Iniziò così il suo governo, che durerà 12 lunghi anni, in cui lei lottò con le unghie e con i denti contro insidie e tradimenti, contro le velleità degli stati più forti che volevano annettersi il suo, grazie al fatto che rappresentava il passaggio obbligato di chi dal Nord doveva recarsi al Sud o viceversa. Caterina si occupava di tutto, indefessamente, con un atteggiamento pratico e sagace.

Ridusse i dazi. Cercò di far quadrare quei conti che non tornavano mai, pur di non gravare troppo sui suoi sudditi. Fino adesso era stata soggetta a uomini. Prima al padre, Galeazzo Maria, Duca di Milano, poi al marito. Ora era lei a prendere decisioni. A trattare di soldi e di beni, di alleanze politiche e di battaglie. E lo faceva molto bene, scatenando sconcerto e sorpresa ma anche ammirazione e odio.

Caterina adesso poteva anche scegliere di abbandonarsi finalmente alla passione. Dopo il marito affibbiatole dai genitori a nove anni e mezzo, che le diede molti figli ma poco amore, ebbe tanti uomini – si malignava che non sapesse stare "a letto voto". Due li amò intensamente: Giacomo Feo, scudiero molto bello e più giovane di lei e, dopo la morte del ragazzo, Giovanni de’ Medici, del ramo cadetto della celebre casata. Li volle entrambi contro l’opinione pubblica e contro la sua famiglia di origine. E li sposò in segreto: perché non voleva rischiare di perdere il dominio e perché non voleva essere dichiarata decaduta dalla tutela dei suoi figli e quindi dalla reggenza della sua Romagna.

Stava riuscendo faticosamente a farsi strada in un mondo retto da uomini. Caterina sapeva di essersi appropriata di una struttura storicamente maschile come il comando, sapeva che, fin

dall’antichità, alle donne è stato sottratto il diritto di parola e, insieme a esso, la possibilità di accedere al discorso pubblico e al dibattito politico. Non è un caso che gli epiteti che venivano usati dai cronisti dell’epoca per definire Caterina erano spesso al maschile: virago, viril, simil a uomo. Come se le parole e i modelli esistenti fossero insufficienti per concettualizzare una donna di potere, se non rimandando all’altro sesso. Ed è proprio sapendo tutto questo che Caterina il potere non lo voleva cedere. Né ai suoi uomini. Ma neppure ai suoi figli.

La lunga storia dei mancati fidanzamenti e dei mancati matrimoni di Ottaviano, il suo primogenito, nasconde in modo evidente la volontà della madre di non farlo sposare. E prima arrivò la proposta dei Gonzaga ma "non è ora tempo di attendere a tali pratiche, date le turbolenze e le cattive condizioni dell’Italia", scrisse la Signora a suo zio Ludovico il Moro, concludendo comunque che "prima di dare moglie a mio figlio voglio vederci molto bene che ci sia il fatto mio dentro". Poi fu la volta della figlia del nipote del re di Napoli ma "io non sono in pensiero di dare moglie al presente a mio figlio". Subito dopo l’occasione più ghiotta: Alessandro VI offrì la sua bella figlia Lucrezia. Caterina avrebbe dovuto sentirsi lusingata di imparentarsi con i Borgia e invece commentava di nuovo con lo zio: "comprendo che il primo disegno loro sia de

levarmi de qui".

È chiaro che lei voleva che il figlio restasse scapolo. Preferiva che Ottaviano si trastullasse con qualche contadina e magari mettesse al mondo pure una figlia, come infatti successe, prima di passare alla vita che da sempre sua madre desiderava per lui: quella ecclesiastica. Caterina voleva conservare il potere nelle sue mani. E non si trattava solo del possesso di un piccolo stato di provincia. Quello che lei voleva conservare era qualcosa di infinitamente più prezioso. Il potere come verbo: potere prendere la parola ed essere ascoltata, potere essere presa in considerazione e sul serio, potere incidere nel mondo. Poteri che molte donne al giorno d’oggi ancora non hanno né sanno di potere avere.

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