Venerdì 19 Aprile 2024

Carol Alt, single a 60 anni. "Uomini fatevi avanti. L’Italia mi fa battere il cuore"

La supermodella: sono diventata attrice grazie ai Vanzina, volevo dimostrare a tutti che potevo anche recitare. "Ero davvero innamorata di Senna. Quando la sua auto si è schiantata, sono morta un po’ anch’io insieme a lui".

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I suoi primi sessant’anni, li compirà a dicembre. Ma se la guardi, sembra che siano molti, molti di meno. Carol Alt, un metro e ottanta di sogno degli italiani. È stata l’icona degli anni ’80 sofisticati, edonisti, glamour, con film come "Via Montenapoleone" o "I miei primi quarant’anni". Il volto pulito e perfetto, gli immensi occhi blu, la sua bellezza hanno segnato il cinema di Carlo ed Enrico Vanzina, e più in generale l’immaginario collettivo di un’Italia che – dopo gli anni ’70 politici e segnati dalle tensioni, dal terrorismo, dalla paura – ritrovava il piacere, la moda, le vacanze.

La incontriamo in Sardegna, al Forte Village resort, che ospita in questi giorni una manifestazione di cinema, il Sardegna filming Italy festival. È ancora bellissima, le gambe chilometriche, gli occhi immensi e pieni di luce. Sexy, ma con allegria: scherza, chiede "ma quando si mangia?", si incanta a vedere i fuochi d’artificio sul mare. E racconta racconta la sua vita, il suo rapporto con l’Italia, con l’amore, con il cinema.

Carol, già da bambina lei aveva una bellezza fuori dal comune?

"No! Tutto al contrario! Ero una bambina goffa, grassa, con i capelli in disordine. Non sono mai stata bella da ragazzina. È stato il lavoro, potremmo dire, a farmi diventare bella. Il lavoro di top model ti spinge a tirare fuori la luce che hai dentro. Io cercavo di dare luce a chi mi guardava".

Ma sognava, da ragazzina, di fare l’attrice?

"No, assolutamente. Ho studiato medicina, sognavo di fare il medico: poi ho studiato Legge, volevo diventare un avvocato militare. Come lavoro estivo, facevo la modella, per pagarmi l’università. Mio padre pagava per la retta di noi tre sorelle, ma era un pompiere, non un miliardario, e non aveva abbastanza soldi per tutte: così mi sono ingegnata per trovare un lavoretto".

Così non ha mai desiderato il cinema…

"No, però come modella mi è andata bene, sono approdata a Milano, nelle sfilate di alta moda".

È apparsa in cinquecento copertine: compresa quella, storica, di "Harper’s Bazar"…

"Sì: ma è l’Italia che ha fatto il miracolo. L’Italia mi ha capita, l’Italia mi ha accolta, è entrata in sintonia con la mia anima".

Come è stato il salto dalla moda al cinema?

"È stato Carlo Vanzina che mi ha inventata attrice. Ma soprattutto, è stato il pregiudizio della gente che, per la mia naturale tendenza a non darla vinta agli altri, mi ha spinta verso il cinema. Tutti dicevano ‘una modella non può recitare’, e allora io ho pensato: vi farò vedere!".

Qual è stato il suo rapporto con i fratelli Vanzina?

"Devo tutto a loro. Carlo, ah Carlo è stato un angelo. Era una persona gentile, riservata, serissima, innamorato del suo lavoro. Un uomo di una grande sensibilità, e anche di una grande timidezza. Ho saputo della sua morte e volevo precipitarmi in Italia per i funerali, ma sono stati fatti troppo presto, ho cercato tutti i voli possibili ma non ce l’ho fatta. Lui ed Enrico sono state le persone professionalmente più importanti della mia vita".

Viviamo, in questi anni, tempi di grandi cambiamenti, di tensioni, ma anche di movimenti importanti, come il #metoo, o il black lives matter. Lei che cosa ne pensa?

"Penso che questi movimenti siano divisivi: il #metoo mette le donne contro gli uomini, e il black lives matter mette i neri contro i bianchi. Dovremmo andare verso l’unione, non verso la divisione".

Che sensazioni ha quando torna in Italia?

"Quando l’aereo apre il portellone, il mio cuore batte forte. L’Italia è la mia seconda casa, ma è cambiata. Mi sento più straniera. Vedo tanta polizia, vedo un clima a volte pesante. Io in Italia ero sempre allegra".

Rispetto all’emergenza covid, Italia e Stati Uniti hanno avuto posizioni diverse.

"E l’Italia è stata molto intelligente a rispettare davvero la quarantena, a indossare le mascherine".

Lei è una convinta crudista. Che cosa significa?

"Che quando posso, mangio cibi crudi, non cotti. Non assolutamente sempre: se sono in un ristorante e c’è un menu dello chef con cibi cotti, non protesto. Ma i cibi crudi sono la vita, cuocerli uccide tutte le loro proprietà salutari".

Ha molti follower su Instagram. L’ha scoperta da poco, la gioia dei social?

"Più che altro è un tormento: quando curi un profilo Instagram devi alimentarlo di continuo, come un bambino che chiede sempre la pappa. Io filmo le mie storie, le monto, metto la musica, sto diventando una specie di regista per Instagram: è una fatica anche quella. Risultati? Mah, ogni tanto (e ride, forte, ndr) mi arrivano delle proposte di matrimonio".

Come è stata la sua vita amorosa?

"Molto sfortunata. Come si dice, fortunata nel gioco, sfortunata in amore".

È stata sposata con un giocatore di hockey su ghiaccio, e poi ha avuto una relazione con un altro giocatore di hockey su ghiaccio. Che cos’ha di speciale l’hockey?

"Assolutamente nulla. È stato un caso, mi avevano invitata a vedere una partita, e tutto è cominciato così".

L’amore con Ayrton Senna. Fu un amore?

"L’ho perduto, l’ho amato così come l’ha amato mezzo mondo. Conoscerlo ha cambiato la mia vita. La sua morte è stata la cosa peggiore che mi potesse accadere. Adesso sono una donna forte, ma senza di lui. Avrei preferito essere una donna debole, ma con lui".

È stata una storia importante, per lei.

"Sì, ma vorrei anche dire che non sono stata io a volerla raccontare: tempo fa è venuta fuori, durante una conversazione con un giornalista. L’avevo tenuta per me per tanto tempo, e non sono io che amo tirarla fuori. Ma Ayrton ha significato molto per me. Era un ragazzo meraviglioso, appassionato, gentile. Quel primo maggio 1994, quando la sua auto si è schiantata, sono morta un po’ anch’io insieme a lui".

Ma adesso com’è la sua vita sentimentale?

"Adesso sono single. Felicemente single. Se qualcuno vuole farsi avanti…".

Ha girato un film italiano, con Luca Bizzarri alla regia: ‘Un figlio di nome Erasmus’. E poi?

"Poi un film americano, ma di un regista italiano, Filippo Prandi. Mi ha incontrata per strada a New York, e mi ha parlato, mi ha convinta. Conosceva tutti i miei film. È una commedia dark, con una trama thriller".

Che cosa sogna per il futuro?

"Un altro film in Italia! Se c’è un regista italiano che legge questa intervista, io sono qui! Ma voglio lavorare con registi che mi diano dei personaggi, che mi facciano anche brutta, che mi mettano addosso le scarpe da ginnastica, ecco che cosa spero".

 

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