Giovedì 18 Aprile 2024

"Caro fratello, adesso ti chiedo perdono"

Bellocchio a Cannes con “Marx può aspettare“ sul gemello suicida nel ’68: "Una tragedia con cui non ho fatto i conti per troppo tempo"

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di Giovanni Bogani

A ottantun anni, celebrato, venerato, applaudito. Premiato a Cannes, dove domani sera al Grand Théatre, nella cerimonia di chiusura del Festival, riceverà la Palma d’Oro d’onore alla carriera. Eppure, capace di fare i conti con se stesso, con i suoi sensi di colpa, con i suoi segreti più intimi. Con un male lacerante, nascosto nel passato.

Marco Bellocchio ha presentato ieri a Cannes nella sezione "Cannes Première" il suo film Marx può aspettare, uscito ieri contemporaneamente nelle sale italiane. Il film intimo – coprodotto da Raicinema e Cineteca di Bologna – con cui Bellocchio affronta una tragedia che ha lacerato la sua esistenza: il suicidio del fratello gemello Camillo, a 26 anni, nel 1968. Un fiume di ricordi, testimonianze familiari, immagini d’archivio, punteggiate dal toccante commento musicale di Ezio Bosso – scomparso nel maggio 2020. "Era la mia ultima occasione di fare i conti con qualcosa che tutta la mia famiglia ha censurato, tenuto nascosto", dice.

Che cosa significa, per lei, questo film?

"È il mio film più privato. E non è un film tenero. Ho capito subito che non mi interessava fare una cosa nostalgica con chi restava della mia famiglia, mia sorella, i miei fratelli, ma che volevo concentrarmi sul grande assente, Camillo".

Perché quel titolo: Marx può aspettare?

"Viene da una sua frase. Mi chiedeva attenzione, mi chiedeva di aiutarlo a trovare un lavoro: io ero già un regista affermato, il mio film d’esordio, I pugni in tasca, aveva fatto scalpore. Ingenuamente, gli risposi “Potrai riscattare la tua infelicità entrando nella lotta rivoluzionaria“. All’epoca ci credevo veramente: credevo nella militanza, nel comunismo, in Mao Tse Tung, in Marx. Camillo mi rispose, con un sorriso amaro, “Marx può aspettare“. Voleva dirmi: la politica viene dopo, prima devo risolvere i miei problemi".

Non avevate compreso il dramma che si stava consumando in lui?

"No. Né io, né la mia famiglia avevamo capito niente, fino al gesto estremo, che per tanti anni è stato rimosso per proteggere mia madre, rigidamente cattolica. E nessuno, compreso me, lo ha aiutato".

Perché soltanto adesso ha trovato la forza di fare i conti con tutto ciò?

"Molti condizionamenti mi avevano impedito di riflettere su questo dramma: la salvaguardia di mia madre, la politica, la psicanalisi… Adesso finalmente sono sereno, ma non per questo assolto. Ho capito che ciò che è accaduto a me e ai miei familiari non è un delitto, ma qualcosa di comune a molti: non avevamo capito. Non avevamo interpretato i suoi silenzi, non avevamo intuito che cosa stava accadendo in lui, anche se ci viveva accanto. Questo forse è il motivo per cui tante persone si stanno emozionando, vedendo il film".

Nel film ci sono anche momenti di leggerezza.

"Sì: volevo un film non pesante, libero. Penso a mia sorella Letizia, sordomuta, che qui parla per la prima volta, con osservazioni di un’arguzia assoluta. Quando pensando all’aldilà, desiderosa di incontrare i genitori e i fratelli che non ci sono più, si domanda: “Siamo miliardi di persone, come faremo a incontrarci in paradiso?“".

Ora sta girando la serie tv Esterno notte, che racconta i giorni della prigionia di Aldo Moro, ma visti "da fuori". Lavora più adesso di quando era ragazzo…

"Lavorare, avere progetti, essere dentro la vita, mi fa dimenticare che esiste anche la possibilità della morte. Non credo nell’eternità: e il rapporto con la morte varia, è diverso se sei malato, o se sei in forze e hai ancora voglia di fare. C’è sempre l’angoscia della conclusione: ma secondo me varia, rispetto a quello che fai". Oggi, alla "prima" a Cannes del film, ci sarà anche Paolo Sorrentino. Probabilmente sarà lui a consegnare a Bellocchio la Palma d’Oro d’onore.

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