"Caro dottor Freud, mi salvi". Il sogno di Dalí

Il pittore ossessionato dallo psicanalista: era convinto che l’avrebbe aiutato a sconfiggere i suoi incubi. Ma riuscì a incontrarlo solo una volta

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di Roberto Giardina

Salvador Dalí, con un quadro sottobraccio, bussa alla porta di Sigmund Freud a Londra. Il pittore surrealista ha 35 anni, il padre della psicoanalisi, da un mese in esilio, ha ancora un anno di vita. Sarà l’unico incontro, sul loro rapporto si apre una mostra al museo del Belvedere a Vienna, Dalí Freud - Eine Obsession (da domani al 29 maggio, Unteres Belvedere, Rennweg 6). I quadri di Salvador sono come sogni, l’artista spera di trovare nell’anziano professore un aiuto a capire se stesso. Non l’avrà, l’incontro è giunto troppo tardi, e manca il tempo.

Una storia che varrebbe un film, se si riuscisse a trovare interpreti convincenti e un regista all’altezza. In Il tabaccaio di Vienna, ultima apparizione di Bruno Ganz, si racconta l’amicizia tra Freud e il garzone di un tabaccaio ebreo, ma è una favola. Raccontare l’ossessione di Dalí sarebbe un’impresa difficile, tra arte, psicoanalisi, tra la Spagna di Franco e l’Austria appena conquistata da Hitler. Un cane andaluso (1929) di Luis Buñuel deve molto, o tutto, a Dalì. Anche le inquadrature di diversi film di Hitchcock ricordano le tele dell’artista spagnolo (sono firmate da Salvador le scenografie delle sequenze oniriche di Io ti salverò, 1945).

"Accanto a mia moglie Gala, la mia dea, il mio idolo è Freud", confessa Dalí nell’autobiografia. Ha letto da giovane Traumdeutung (1899), l’interpretazione dei sogni, il saggio ha trasformato la sua arte, e lentamente lo porterà a rompere con il gruppo degli amici surrealisti. È schiacciato dalla figura paterna, il severo notaio Don Salvador (1872- 1952), a Figueres si sente soffocare. Il padre gli ha imposto il suo nome, che è anche il nome del fratello morto tre anni prima della sua nascita. Gli fa paura il confronto, sente di essere privo di identità, una replica.

Freud è una figura autorevole, ma gli appare più umano, più comprensivo. I suoi quadri sono enigmi, incubi provocati dal subconscio. Freud, spera, gli potrà dare la chiave per capire se stesso, per tenere sotto controllo paure e ossessioni. Nell’estate del ’38, è in Francia, in un ristorante ordina escargot, di cui è goloso, ed ha un’intuizione: il cranio di Freud è simile al guscio di una lumaca, e ne fa il ritratto, copiando la foto apparsa su un giornale. Lo schizzo è esposto alla mostra di Vienna, insieme con un centinaio di altri oggetti, tele, disegni, spezzoni di film, libri, lettere. Da bambino, nel suo rifugio nella soffitta della casa paterna, Salvador si vedeva come una lumaca. Un simbolo della paura di castrazione, crede di capire leggendo i saggi di Freud.

Per tre volte è andato a Vienna tentando di vedere il professore. Nell’aprile del ’37, è sceso all’Hotel Kranz-Ambassador, si è recato nella Bergasse 19, ma non è stato ricevuto. Il 14 marzo del ’38, Hitler si impadronisce della “sua” Austria. Il giorno dopo le SA irrompono a casa del professore, vogliono sequestrare i suoi quadri. La moglie Marta li corrompe con seimila scellini, ma torneranno. Il 22, la figlia Anna viene sequestrata per 24 ore, sarà liberata solo grazie all’intervento dell’ambasciata americana. In giugno, Freud fugge a Londra. I nazisti gli permettono di partire per timore delle reazioni all’estero, dall’Europa agli Stati Uniti, al Sud America si protesta contro il trattamento riservato al professore e alla sua famiglia.

Mentre mangia escargot, Dalí legge la notizia e decide di andarlo a trovare in esilio. Il 19 luglio bussa a casa Freud, al 19 di Maresfield Gardens. Porta con sé il quadro Metamorfosi di Narciso. L’incontro è stato possibile grazie a Stefan Zweig, che assiste al colloquio tra l’anziano professore, gravemente malato, e il focoso spagnolo. Qualche giorno dopo Freud ringrazia lo scrittore: l’incontro è stato un piacevole diversivo, pensava che i surrealisti fossero dei Narren, folli, buffoni, ma "il giovane spagnolo con i suoi occhi… e il suo talento" gli ha fatto cambiare idea. Dalí è deluso, sperava di riuscire grazie a Freud di dominare le sue ossessioni, ma il professore non lo potrà aiutare: "Si sono incontrati due geni ma non è scoccata la scintilla", si rammarica. Freud non ha nemmeno sfogliato la rivista con un suo articolo sulla psicoanalisi.

Dalí troverà altri idoli, altri padri, come Albert Einstein o Werner Heisenberg, il fisico nucleare. Gli amici surrealisti lo accusano di subire il fascino dei dittatori. Per Salvador anche Hitler era una figura surrealista. Freud muore pochi giorni dopo l’inizio della guera, il 23 settembre del ’39. Quattro delle sue cinque sorelle moriranno nei campi di sterminio. Dalí muore mezzo secolo dopo, nel gennaio del 1989. Un incontro non basta. Ma una lunga terapia sarebbe stata un pericolo. I quadri o i romanzi per uno scrittore, possono essere una forma di cura psicoanalitica. "L’unica differenza tra me e un pazzo, scrive Dali, è che io non sono pazzo". Se si fosse sdraiato sul divano di Freud, forse avrebbe smesso di dipingere, o avrebbe creato altri capolavori, o delle croste.

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