Carlo Verdone: "A 70 anni voglio far ridere, senza censurarmi"

"Oggi quando pensi a una battuta, devi stare attento: c’è sempre una categoria che si offende. È la dittatura del politicamente corretto". Martedì il compleanno dell’attore. "Il debutto? Fu mia madre a spingermi, ero preso dal panico: mi lanciò contro la borsa degli oggetti di scena"

Migration

"Ah, che bella vittoria di Sinner! Jannik Sinner ha appena vinto l’open di Sofia, e Carlo Verdone si è gustato il match come se fosse stato un bellissimo film. "È un piacere vederlo giocare: è leale e ha classe da vendere: e ha compiuto da poco diciannove anni. Un fenomeno".

Ne compirà settanta invece lui, Carlo, dopodomani. "Come festeggio? Eh, non festeggio! Rimando tutto a dopo la pandemia. Quando la vita finalmente si aprirà, e torneremo ad avvicinarci l’uno all’altro".

È da solo, in casa. Ma idealmente, con lui, c’è tutta l’Italia. Carlo Verdone non è solo un regista, né solo un attore. È un pezzo di storia dell’Italia. È il nostro specchio. Siamo noi i suoi personaggi, i bulli di quartiere, i teneri, gli impacciati, le donne fragili e bellissime, i tipi “Magda? Lo vedi che la cosa è reciproca?“, quelli che “no, non mi disturba affatto“, i coatti che “dai, famolo strano!“. Ci siamo visti nei suoi film.

Quale vede, oggi, come momento chiave della sua vita artistica?

"Il momento chiave è stato un calcio nel didietro. Me lo dette mia madre. La sera della prima dello spettacolo, mi prese il panico. Volevo mollare tutto. Mia madre mi rispose: ‘Se non vai subito a teatro ti mollo un calcio in c…“. Poi prese la borsa con i miei miserevoli ‘attrezzi’ scenici, un paio di occhiali, un cappello, li scaraventò nel pianerottolo e davvero mi mollò quel calcio, gridandomi: “Un giorno mi ringrazierai!“. Non ho ancora finito di ringraziarla".

In quarant’anni, cosa è cambiato nel modo di far ridere?

"Oggi siamo tutti meno liberi. Il politicamente corretto è diventato una dittatura, blocca creatività e fantasia. Oggi devi stare attentissimo a scrivere una scena: c’è sempre qualcuno che si offende, una categoria che protesta. In un mondo in cui, invece, sui social, mezzo mondo offende l’altro mezzo, e non ci puoi fare niente. "politicamente corretto ha messo un freno alla creatività: l’ansia di proteggere ogni “differenza“ crea un conformismo dell’anticonformismo".

Era più facile fare ridere prima?

"Sì. Adesso, come dici una battuta si offendono i magri, i grassi, i belli, i brutti, i bianchi, i neri…".

Come vede le giovani generazioni?

"Mi riuscirebbe difficile rappresentarli: da una parte, i miei coatti sembrano educande, al confronto. I modelli sono Gomorra, i vari romanzi criminali. Ho letto temi di ragazzini che scrivevano “il mio sogno è dominare sul Prenestino“. L’aggressività è un modello, il bene è scomparso dai radar".

C’è la fede nel suo orizzonte di pensiero?

"Sì. Ma la fede non è mai data una volta per tutte. È un percorso continuo di dubbio e di conquista. Mi ha aiutato molto parlare con un personaggio insospettabile".

Chi?

"Il cardinale Ersilio Tonini, uno dei grandi intellettuali della Chiesa. Lo andavo a trovare a Ravenna, dove era arcivescovo. Mi diceva: “la chiave di tutto è la preghiera“. Se tu non telefoni, alle persone, non ci puoi parlare, no?". Sì, ma di là non c’è nessuno che risponde, replicavo. “Lui non può rispondere, non è umano. Le risposte te le dà nell’anima“, la sua replica. E io lo faccio: sempre più spesso. Ascolto. A volte salgo su in terrazza, osservo il cielo, scatto delle fotografie al cielo, che è l’umore di Dio. Scattare quelle foto è un modo di pregare".

Lei ha creato tanti ruoli femminili: che spazio c’è per le donne nei film?

"C’è: ma mancano attrici nuove davvero carismatiche. Il divismo non c’è più, se lo sono preso i social. I divi e le dive sono quelli che hanno più follower".

Chiara Ferragni?

"Una ragazza in gamba, bella, capace di fare impresa su se stessa. Non la sottovaluterei".

Questi mesi di Covid come li ha vissuti?

"Con angoscia. Ma senza fermarmi. Ho scritto il mio terzo libro, raccogliendo una virtuale scatola di ricordi, e Vita da Carlo, la mia prima serie tv".

Come è andata la prima volta a confronto con la narrazione lunga del piccolo schermo?

"Pensavo fosse più difficile: invece è stato facilissimo. Abbiamo fatto dieci episodi in un mese e mezzo. Sarà una serie per Amazon Prime, scritta con Nicola Guaglianone, Menotti e Pasquale Plastino. Racconto tante cose assurde che mi sono capitate nella mia vita, un po’ romanzandole, un po’ no".

Come vede Roma, oggi?

"La vedo dal terrazzo di casa. Malinconica, depressa. Buia. Con la Raggi avevamo avuto qualche speranza. Ma non è successo niente".

In questi mesi di pandemia, abbiamo assistito a scontri fra virologi. Lei, appassionato di medicina, con chi sta?

"A me piace molto Massimo Galli. Mi sembra il più equilibrato, capace di dire la verità senza guardare in faccia a nessuno. Noi non vogliamo sentirci dire le cose come stanno, però è necessario. E lui lo fa".

Si è operato alle due anche, tutte e due insieme.

"Eh sì! Alla faccia di quelli che mi dicevano “è ipocondriaco“. Ho preso il coraggio e mi sono fatto aprire in due, mi sono fatto rompere a martellate. In sala operatoria c’erano martelli, seghe e trapani. Sono andato da uno sfasciacarrozze, praticamente. “E ora, mi ha detto il chirurgo, le sue anche sembrano due cilindri di Aston Martin“. Bene, così qualcosa di 007 ce l’ho pure io!".

Che bilancio fa, della sua vita, a settant’anni?

"Se mi avessero detto che avrei fatto quello che ho fatto, avrei firmato non una volta, ma 750mila volte. Ho avuto molto più di quello che avrei mai potuto immaginare. La mia carriera? Beh, forse non ho fatto tutto quello che avrei potuto. Ma a volte bisogna pure accontentarsi".

 

 

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro