Venerdì 19 Aprile 2024

"Canto l’Inferno dantesco: è intorno a noi"

Ospite di “Porto Rubino“, Vinicio Capossela torna in concerto: "La mia Bestiale Comedìa tra il Sommo Poeta e “Il vino“ di Ciampi"

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di Andrea Spinelli

POLIGNANO A MARE (Bari)

Vinicio in catene. Nel decennale di Marinai, profeti e balene Capossela attracca il suo gozzo incrostato di sale allo scoglio di San Vito e, come un Ulisse omerico, offre in pasto la sua voglia di naufragio al canto delle sirene di “Porto Rubino“, la rassegna "galleggiante" dello stesso Renzo Rubino che – aspettando l’autunno per l’uscita dell’album Giocattoli Marevigliosi, anticipato dal singolo Giocare – in questa sua terza edizione ospita "a bordo" fra gli altri, Edoardo Bennato, Francesca Michielin, Mahmood, Fulminacci, Bravi, Motta, Bianconi, Roy Paci.

Scampolo d’estate in cui perdersi e ritrovarsi, nell’attesa che veda (finalmente) la luce l’opera composta da Vinicio, cresciuto affinando una scrittura "condizionata fin dall’inizio da due entità: la grande musica da cinema e Puccini". "Il legame tra questa edizione e le mie canzoni è dato dal fatto che pure Marinai, profeti e balene è un disco sulla letteratura di mare inteso come luogo del fato" spiega Capossela. "E quindi ispirato sostanzialmente a due testi fondamentali quali l’Odissea e Moby Dick".

E qual è il punto di contatto tra quei due classici letterari?

"L’Ulisse di Dante. Vera e propria prefigurazione dell’Achab melvilliano. Il finale del XXVI Canto dell’Inferno, infatti, è pressoché identico a quello di Moby Dick. Anche se Dante inabissa Ulisse perché il suo non è un viaggio verticale dello spirito, mentre Achab sprofonda per essere andato oltre i limiti; uno è spinto dalla sua sete di “virtute e canoscenza“, mentre l’altro dall‘ossessione per la balena bianca, in cui identifica quell’assoluto inseguito dall’uomo senza poterlo mai raggiungere. Nel “Pequod“ di Achab, il veliero-cannibale “tinto dalle intemperie di tutti e quattro gli oceani“, viaggiamo pure noi. Presagiamo che ci sta portando al naufragio, ma, come il primo ufficiale Starbuck, non abbiamo la forza d’intervenire".

Balena o Selva Oscura?

"Selva. Penso davvero che l’Ulisse di Dante parli alla contemporaneità, perché ogni uomo che attraversa su un barcone il Mediterraneo è a suo modo un nuovo Ulisse. Ma io mi sono affezionato a Dante grazie anche a Primo Levi, che nell’undicesimo capitolo di Se questo è un uomo, in quell’Inferno realizzato dal sistema del lager, ritrova un po’ di umanità recitando al compagno di sofferenze proprio il XXVI Canto".

Pure Bestiale Comedìa, il suo nuovo spettacolo in tour fino a fine agosto, è un concerto dantesco.

"Se quello di Dante è un viaggio tra i morti per salvare i vivi, la mia Comedìa, vuol essere un percorso immaginario per salvare il reale dallo smarrimento in cui sembra essere scivolato. Il pretesto per mettere assieme un repertorio usando come filo narrativo la struttura tripartita Inferno, Purgatorio e Paradiso".

Lo definisce "un vero e proprio viaggio nell’aldilà tra santi, creature mitiche, bestie, eroi e, soprattutto, peccatori".

"Buona parte della scaletta attinge a Marinai, profeti e balene, ma ci sono pure delle cover perché il Purgatorio è la cantica degli amici fraterni. Così interpreto La torre di Battiato, ma anche Il vino di Ciampi nell’arrangiamento dei La Crus, che negli anni ’90 rappresentarono per davvero uno “stil novo“ della canzone italiana nell’approccio ai classici".

Tutto con un occhio all’attualità.

"L’inferno può essere declinato in molti modi, ma per me rappresenta innanzitutto isolamento. Un isolamento pure linguistico, perché negli inferi c’è soprattutto lamento e ognuno è chiuso nella sua pena; la parola si evolve nel purgatorio e diventa canto nel paradiso. Nella claustrofobia infernale colgo elementi del sistema contemporaneo, la prevaricazione degli inermi, soprattutto nel ventesimo anniversario del fatti di Genova, davanti alle violenze carcerarie a Santa Maria Capua Vetere e alla mobilitazione scatenata dall’assassinio George Floyd".

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