Mercoledì 24 Aprile 2024

C’è un’Italia segreta nella magia di Praga

Nella città del Golem e dei misteri, i riflessi della nostra cultura tra monumenti e giardini. Nell’Arcimboldo e nella storia travagliata di Mozart

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Franco

Cardini

Praga. Praga magica, Praga d’oro. Una delle città più belle del mondo, e anche delle più celebri. Praga gotica, Praga barocca, Praga jugenstyl e perfino stramoderna, d’avanguardia. Lo sapete che la Belle Époque e il cubismo sono nati a Praga, esattamente come le basi della fortuna dei Rotschild? E poi c’è la Praga esoterica, quella dei misteri e dei fantasmi notturni; la Praga del Golem, l’automa di creta inventato da Rabbi Loew, il saggio, il sepolcro del quale si onora ancor oggi nel vecchio cimitero ebraico, quello che ha ispirato Umberto Eco; la Praga di Franz Kafka e delle sue metamorfosi che a modo loro hanno ’profeticamente’ intravisto l’orrore del Saeculum horribile, il Novecento; la Praga della misteriosa, notturna passeggiata onirica del poeta Apollinaire con il più inquietante fra i protagonisti immaginari della storia d’Europa, l’Ebreo Errante; infine la Praga della più bella musica del mondo, da Mozart a Dvořak a Smetana.

Ma i turisti italiani, che qualche squarcio del panorama praghese l’hanno al massimo visto nel film Perdiamoci di vista, con Carlo Verdone e Asia Argento, e che pure affollano ogni giorno le spallette del Ponte Carlo, a Praga finché è durato il regime comunista ci andavano soprattutto a rimorchiar le ragazze; e ora ci arrivano, sempre numerosi, sulla base delle sollecitazioni pubblicitarie delle agenzie turistiche ma senza saperne troppo il perché. In fondo, lo spleen praghese è loro ignoto, Jan Hus e il Buon Soldato Švejk non sanno nemmeno troppo bene chi siano; al massimo, qualcuno sa che Praga è ormai una specie di Hollywood europea grazie ai fantastici, chilometrici stabilimenti dei Barrandow Studios: ma è tutto.

Eppure càpita, chissà come, che in certe serate di primavera o d’autunno qualcuno, rimirando i gorghi della Vltava (per gli italiani Moldava) dall’alto del Ponte Carlo, si ricordi dell’Arno d’argento in cui si specchia il firmamento; e che a qualcun altro, notata la statua di quel santo dal nome impronunziabile, Giovanni Nepomuceno, alta sulle sue spallette, torni in mente che il medesimo santo veglia sul ponticello del quartiere dei canali di Livorno, la “Venezia”.

Poi si cammina svagatamente per la città e di colpo ci s’imbatte nel cortile quattrocentesco “all’italiana” del palazzo Ai Due Orsi, nell’italianissimo colonnato con gli archi a sesto pieno della corte d’Ungelt; oppure si visita magari un po’ annoiati le sale del Hrad, del Castello, o quelle di palazzo Wallenstein – accanto al quale il grande condottiero del Seicento (tradito da un principe senese, Ottavio Piccolomini) volle fossero costruiti dei giardini rinascimentali, “all’italiana” anch’essi – e la guida ci sorprende parlando di Rodolfo II, l’imperatore-alchimista del tardo ’500, e delle sue Wunderkammern, le collezioni di pezzi d’antichità grecoromana e di “curiosità naturali” che oggi sono in gran parte depositate a Vienna ma che ricordano gallerie di analoghe preziose stranezze messe insieme dal granduca Francesco de’ Medici o dai duchi estensi e gonzagheschi.

Ma ci sarebbe ancora di più. A metà ottobre arrivò trafelato a Praga, da Vienna, nientemeno che Wolfgang Amadeus Mozart il quale avrebbe dovuto dirigere la “Prima” del suo Don Giovanni (con libretto italiano del Da Ponte) per l’arciduchessa Maria Teresa di Toscana, figlia di Pietro Leopoldo, che si stava recando a Dresda dove avrebbe dovuto incontrare il suo promesso sposo, il principe Anton Clemens di Sassonia. Ma la preparazione dell’opera aveva comportato un certo ritardo: quando Mozart era partito da Vienna, mancavano ancora l’Ouverture e il finale del secondo atto. Può darsi che lavorasse durante il viaggio e quindi, febbrilmente, una volta arrivato a destinazione. Sembra che soltanto il 28, dopo una notte quasi insonne, la partizione fosse completata: quel giorno, in onore dell’arciduchessa, Mozart diresse invece ancora una volta Le Nozze di Figaro. Una pagina di storia boemo-italica, che consentirà agli italiani in visita nella capitale cèca di ricordarsi che le carte del granduca di Toscana sono custodite proprio qui: come ricorda la bella pubblicazione Fra Toscana e Boemia: l’archivio di Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena nell’Archivio nazionale di Praga: inventario, a cura di O. Gori e D. Toccafondi.

Oggi l’Unione Europea celebra e onora nel granduca di Toscana figlio di Maria Teresa, poi divenuto Leopoldo II sovrano del Sacro Romano Impero, il primo statista che siglò nel nostro continente la rinunzia del potere agli strumenti punitivi e repressivi della tortura e della condanna a morte: e anche per questo è quasi spontaneo che chi le conosce e le ama scorga in Firenze, in Vienna e in Praga – quasi una sorta di “Trinità civica” – un’unità sostanziale che va al di là della distinzione storica e fenomenologica.

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