Bronzi di Riace: dal mare rinacquero due stelle

Il 16 agosto del 1972 il ritrovamento nello Ionio degli antichi guerrieri. A Firenze anni di restauri e la prima mostra che incantò l’Italia

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di

Olga Mugnaini

Fu il braccio sinistro del primo “guerriero“ a emergere dal fondale, come se dopo oltre duemila anni l’antico bronzo avesse deciso di uscire dal suo lungo sonno dentro al mare.

Ma Stefano Mariottini, all’epoca un giovane sub romano, non aveva ancora idea del tesoro che stava restituendo all’umanità. Era il 16 agosto del 1972 quando, appassionato di immersioni, si era tuffato nel mar Ionio, a poco più di duecento metri dalla costa di Riace Marina. E lì, a soli otto metri di profondità, ecco scoprire quelli che sarebbero diventati i reperti archeologici più celebri del secolo, capaci di suscitare un’euforia collettiva, prima tutta italiana e poi mondiale: i Bronzi di Riace.

Il mare li aveva nascosti, ma anche custoditi, restituendo due statue che da sole bastavano a raccontare la grandezza dei mitici artisti greci: forse erano usciti dalla mano di Mirone, Fidia, Pitagora di Reggio, Policleto. La datazione da subito fu più o meno V secolo avanti Cristo. Quindi, giovanotti di 2.500 anni.

Nel bronzo erano modellate due figure maschili alte circa un metro e ottanta. Il primo aveva il volto ricoperto di barba, e la testa di riccioli, braccia pronte forse a scagliare un giavellotto. L’altro, con uno scudo nel braccio sinistro. Non fu facile recuperarle: furono i carabinieri utilizzando un pallone gonfiato con l’aria delle bombole, a tirare su i due naufraghi in bronzo. Ma fu ancora più complicato restaurarli, curarli, metterli in sicurezza per restituirli agli occhi di un pubblico sempre più smanioso di ammirarli.

Fu così che la soprintendenza di Reggio Calabria, dopo le prime cure, alzò le mani e poi anche il telefono. Servivano esperti e tecnologie che loro non avevano. I più bravi? A Firenze. Dopo l’alluvione del ’66 avevano fatto veri e propri miracoli su molte sculture bronzee. E così entrò in scena il Museo Archeologico di Firenze.

Scherzi del destino, a dirigere oggi quel pozzo delle meraviglie antiche – egizie, greche, etrusche, romane – c’è Mario Iozzo, che nel 1975, all’arrivo dei giganti del mare era un giovane studente di archeologia della facoltà fiorentina, ammesso a seguire i restauri, incaricato poi di accompagnare il pubblico all’esposizione e anche collaboratore nel successivo allestimento al museo di Reggio Calabria: "Ho avuto la fortuna di essere testimone di un grande evento archeologico e di un sorprendente fenomeno di isteria sociale e culturale – racconta il direttore Mario Iozzo –: dopo il restauro, il 15 dicembre 1980 furono esposti al museo Archeologico di Firenze e nell’arco di un mese arrivarono 250mila persone. Stavano in coda per ore, all’epoca si pagava il biglietto di 125 lire, per vedere di questi capolavori che giorno dopo giorno aumentavano di fama. E all’epoca non c’era internet. Ma tutti ne parlavano e tutti li volevano vedere. Tanto che fummo costretti a prolungare fino a giugno dell’81 la mostra, che poi il presidente della Repubblica Sandro Pertini volle al Quirinale".

Ma prima del grande show, furono anni di lavoro, di studio e di sperimentazioni, affidati alla migliore equipe di restauratori, fra i quali Renzo Giachetti e Edilberto Formigli.

"Ci volle un bel po’ di tempo per capire come intervenire – prosegue Iozzo –. Ricordo che da studenti seguivamo il restauro e abbiamo visto queste due meravigliose statue immerse per anni in acqua demineralizzata".

Ma chi erano questi bronzi, cosa rappresentavano? Da dove venivano? "Fin da subito si capì che non erano copie romane – prosegue il direttore –. Attraverso lo studio delle terre interne si è capito che venivano dal Peloponneso. Ad Argo c’era una delle scuole di scultura più famose dell’antichità. Si è detto che fossero eroi, forse degli atleti, forse divinità, personaggi omerici. Può essere che stessero in un santuario, da Delfi a Olimpia, chissà. Certamente erano importanti. A stupire ancor oggi è la loro qualità tecnica".

Dopo Roma il ritorno a casa, a Reggio Calabria: "Fui chiamato a collaborare all’allestimento – conclude Iozzo –: furono studiati piedistalli antisismici e predisposto un fondale chiaro che faceva risaltare la potenza scultorea. Anche lì, la gente faceva la fila, c’era così tanto pubblico che ogni sei mesi il museo doveva cambiare la moquette".

Buon compleanno, signori della Magna Grecia.

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