Mercoledì 24 Aprile 2024

Vitamina D antidepressiva, protegge gli anziani

Scienziati irlandesi ipotizzano che con l'età la carenza di vitamina D porti a un calo di tono dell'umore

Vitamina D

Vitamina D

Uno studio a cura del Trinity College di Dublino, in Irlanda, suggerisce che le persone anziane possono cadere più facilmente in depressione se assumono poca vitamina D. L'ipotesi è frutto di un'indagine lunga quattro anni, che getta luce su un tema relativamente nuovo, ossia il legame tra benessere mentale e fabbisogno vitaminico. A tale proposito: ecco quali alimenti consumare per assumere la giusta dose di vitamina D RISCHIO DEPRESSIONE La ricerca ha coinvolto 3965 irlandesi di età superiore ai 50 anni, all'interno di quello che è stato battezzato The Irish LongituDinal Study on Ageing (TILDA). Dopo un primo giro di esami preliminari, gli scienziati hanno monitorato i partecipanti eseguendo dei test, a distanza di due e quattro anni, per valutare fattori come attività fisica, disturbi dell'umore, malattie croniche e cardiovascolari. Una volta raccolti tutti i dati, hanno stretto il cerchio intorno a 400 persone con sintomi depressivi, scoprendo che la carenza di vitamina D incrementava del 75% il rischio di sviluppare tale patologia. VITAMINA D E BENESSERE MENTALE In passato la depressione era stata già accostata alla mancanza di vitamina D, ma lo studio pubblicato su Journal of Post-Acute e Long-Term Care Medicine è il primo che porta prove così numerose e convincenti. Come noto, la vitamina D è importantissima per mantenere ad esempio ossa, denti e muscoli sani, ma alla luce delle nuove evidenze i ricercatori ipotizzano che sia anche in grado di proteggere il cervello dall'usura dell'invecchiamento. PIÙ ATTENZIONE VERSO GLI ANZIANI In attesa di ulteriori conferme, il coautore Robert Briggs spera che il lavoro della sua squadra possa servire per mettere a punto politiche sanitarie più efficaci in materia di terza età. La normale assunzione di vitamina D attraverso una dieta equilibrata non è così scontata: in Irlanda si calcola ad esempio che una persona su quattro ne ingerisca quantità molto basse, soprattutto nei mesi invernali.

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